La temperatura incandescente che ha scatenato la Super League su giornali, social network e chat in questi giorni sta ormai rientrando. Favorevoli e contrari hanno ormai sbollito le rispettive argomentazioni e la situazione, almeno dal punto di vista del dibattito pubblico, sta rientrando. Il resto sarà fatto di trattative e riunioni, di discorsi che resteranno entro le mura del Palazzo e senza comunicati notturni a scompaginare i sogni dei tifosi. Ma c’è una frase che merita attenzione, parte di una intervista che Andrea Agnelli (motore primo dell’idea della Super League) ha rilasciato in queste ore:
I più giovani vogliono vedere i grandi eventi, sono meno legati agli elementi di campanilismo. Il 40% dei ragazzi tra i 16 e i 24 anni non ha interesse per il mondo del calcio. La Superlega vuole essere una competizione che simuli ciò che fanno le piattaforme digitali per fronteggiare la competizione di Fortnite o Call of Duty, che sono i veri centri di attenzione dei ragazzi di oggi.
In questa riflessione c’è il vero baricentro dell’iniziativa “Super League” di cui tanto si è discusso e che in sole 48 ore ha fatto tremare il tempo dell’UEFA per poi crollare miseramente tra debacle scuse pubbliche.
Fortnite non è il nemico
L’obiettivo indicato è chiaro ed attinge più al mondo del marketing che non al mondo del pallone: il prodotto “Calcio” fatica ad attirare le attenzioni dei più giovani, oggi calamitati più dal videogioco che non dallo sport, più dal grande evento che non dalla partita di Serie B, più dal consumo istantaneo che non da 90 minuti di catenaccio e ripartenze. Secondo il proponente primo della Super League (idea prima controfirmata da una “sporca dozzina” di società, quindi abbandonata in fretta da tutte), a contrapporsi sono due modelli di consumo: se i giovani d’oggi sono più conformati ad un modello Instagram e vivono la vita come un Reel più che come una sfida epica anche quando i pali sono due magliette appoggiate in terra, allora il Calcio ha chiaramente un problema. Su questo Andrea Agnelli centra nel segno: c’è un modello da ripensare per renderlo nuovamente appetibile.
Ma è giusto contrapporsi al modello-Fortnite scimmiottandone le dinamiche? Ha senso creare una Super League che insegua modelli di consumo invece di plasmare un modello che per generazioni ha portato avanti lo sport più bello e più ricco del mondo?
Fermi tutti. Prima che ricomincino gli strali di quanti vedono nel Calcio solo sporcizia, nella UEFA solo brutture e nei calciatori solo immoralità, qui si sta parlando d’altro: il Calcio va ripulito, l’UEFA ha grosse colpe e i calciatori ben raramente sono esempio di rettitudine o modello di vita. Sulle ovvietà non si costruirà alcun discorso. Resta da capire se un’idea romantica del Calcio e un’idea imprenditoriale e speculativa dello stesso possano in qualche modo andare avanti a braccetto, senza che il Calcio debba diventare giocoforza altro.
🔴 SUPERLEGA 🔴
Paolo Condò: "Stupito dal dilettantismo organizzativo"#SkySport #Superlega #Superleaguehttps://t.co/mFs9dpyCxd— skysport (@SkySport) April 21, 2021
Le proposte sul piatto sono molte: partite più brevi, tre tempi, Super League a circuito chiuso per moltiplicare le sfide di alto livello. Ma se lo scopo è quello della spettacolarizzazione (e tra le righe quello dell’aumento dei proventi per ripianare i debiti di società ben poco virtuose), allora il rischio è di perde di vista un elemento tanto sottile quanto tangibile nelle propensioni al consumo: la passione.
Un pubblico in stile Fortnite dura ben poco e ben poco può apportare alla piattaforma, perché presto ci saranno nuovi modelli più eccitanti con “engagement” maggiore a spostare le masse altrove. Un modello in stile Fortnite non crea prospettive di lungo periodo, ma soltanto un grande exploit destinato a depauperare le basi sociali che hanno reso il calcio una passione da tramandare. Se c’è una cosa che ha reso il Calcio quello che è, questa cosa è l’adattabilità del modello nel tempo: la nascita del calcio di rigore ha cambiato lo spettacolo nell’area, l’introduzione del fuorigioco ha fatto nascere la tattica, i 5 cambi hanno permesso di affrontare la pandemia con il coinvolgimento maggiore di tutta la rosa. Il Calcio non è dunque impermeabile al cambiamento, anzi: ne è intriso da sempre, con regole che cambiano continuamente a reinterpretare ritmi, velocità, sistemi di gioco. La Super League ha però provato a fare qualcosa che va oltre a tutto ciò: ha provato ad imporre un gioco diverso, con regole diverse, con prospettive diverse.
Se imponi il modello Fortnite a chi adorava Age of Empires, non funzionerà. Se imponi Call of Duty a chi apprezza gli eSport, non funzionerà. Il problema evidenziato da Andrea Agnelli è dunque un problema vero, ma bisognerebbe comprenderne le origini e rispondervi con maggior delicatezza che non con un comunicato notturno che distrugge un sistema col favore delle tenebre. Forse non aver recuperato palloni “incastrati sotto le marmitte“, non aver sognato una rovesciata su un campo di periferia e non aver sentito il fango sulle ginocchia ha tolto alle nuove generazioni sottili piaceri su cui il Calcio aveva costruito una intera retorica. Quella retorica non attecchisce più e questo per il Calcio è sicuramente un problema. Ma una cosa è spettacolarizzare uno sport (cosa che il Calcio ha ampiamente dimostrato di saper fare, con ampi margini ulteriori di crescita), un’altra è trasformare lo sport in un format per Netflix.
Vuelve la #SerieAxESPN 🇮🇹 y… ¡VUELVE EL #PAPUDANCE 🕺🏽😎! pic.twitter.com/FWaN8PS1Qe
— SportsCenter (@SC_ESPN) August 21, 2019
Fortnite e Call of Duty non sono i rivali: sono compagni di avventura potenziali presso cui cercare nuovi mercati e con i quali costruire i sogni delle nuove generazioni. Sono bacini d’utenza potenziale su cui il marketing può far presa con i giusti investimenti. Sono partner di grande potenziale, così come Twitch o mille altre dimensioni entro cui il Calcio può avere il potere di farsi notare.
Ma tutto ciò sarà possibile soltanto fino a quando vedere un pallone rotolare su un prato emozionerà ancora. Persa quella scintilla, di recuperabile non ci sarà più granché.