La potenza di calcolo dei supercomputer per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Su questo si basa l’iniziativa messa in campo da IBM che coordinerà un consorzio il cui obiettivo sarà proprio quello di mettere risorse per circa 330 petaFLOPS a disposizione dei ricercatori. Nasce l’iniziativa COVID-19 High Performance Computing Consortium.
IBM: un consorzio HPC contro COVID-19
L’obiettivo dichiarato è quello di “riunire tutti i più potenti computer del mondo nella lotta all’emergenza sanitaria” ottenendo così una capacità impiegata anzitutto per l’elaborazione di modelli in grado di analizzare e prevedere la diffusione della malattia, ma anche per trovare cure efficaci e (si spera) un vaccino utile contro SARS-CoV-2. Queste le parole di Dario Gil, direttore della divisione Research, riportate nel fine settimana sulle pagine del blog ufficiale.
Questi sistemi di calcolo ad alte prestazioni consentono ai ricercatori di eseguire un gran numero di operazioni legate ai campi di epidemiologia, bioinformatica e modellazione molecolare. Gli esperimenti richiederebbero anni per essere completati “a mano” o mesi se gestiti da una piattaforma di computing più lenta.
Molti i partner del progetto schierati al fianco di IBM: Lawrence Livermore National Lab (LLNL), Argonne National Lab (ANL), Oak Ridge National Laboratory (ORNL), Sandia National Laboratory (SNL), Los Alamos National Laboratory (LANL), National Science Foundation (NSF), NASA, Massachusetts Institute of Technology (MIT), Rensselaer Polytechnic Institute (RPI) e altri ancora.
Fin dall’inizio della pandemia COVID-19 abbiamo lavorato a stretto contatto con i governi degli Stati Uniti e di tutto il mondo per esplorare tutte le opzioni disponibili così da mettere la nostra tecnologia e la nostra esperienza al lavoro per aiutare le organizzazioni ad essere resilienti e ad adattarsi alle conseguenze della pandemia.
Sfruttando le potenzialità di IBM Summit (nelle immagini allegate a questo articolo), attualmente il supercomputer più potente del pianeta, i ricercatori di Oak Ridge National Laboratory e Università del Tennessee sono stati in grado di analizzare 8.000 composti alla ricerca di quelli che con più probabilità si possono legare alla principale proteina spike del coronavirus, rendendola incapace di infettare le cellule ospiti. Dallo studio sono emersi 77 promettenti composti farmacologici da testare in via sperimentale.
Ora, in collaborazione con il White House Office of Science and Technology Policy, il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti e molti altri, IBM sta contribuendo al lancio del COVID-19 High Performance Computing Consortium, che porterà alla luce una quantità senza precedenti di sistemi di potenza di calcolo con più di 330 petaFLOPS, 775.000 core di CPU, 34.000 GPU e altro ancora, per aiutare i ricercatori di tutto il mondo a comprendere meglio COVID-19, i suoi trattamenti e le sue potenziali cure.
L’invito a prendere parte al COVID-19 High Performance Computing Consortium è esteso anche alle realtà che dispongono di supercomputer in Europa e in Italia, con l’obiettivo di fronteggiare un nemico invisibile e comune.