Le autorità svedesi hanno ceduto: la sorveglianza sulle comunicazioni dei cittadini non si dispiegherà in maniera indiscriminata, passerà dal mandato di un tribunale speciale. La legge Orwell offrirà più garanzie ai cittadini, che spesso vivono inconsapevoli di come stato e mercato possano vigilare sulle loro vite.
“Non c’è più motivo di parlare di una sorveglianza di massa” ha annunciato il ministro della difesa svedese Sten Tolgfors: la legge Orwell verrà modificata, ammorbidita. Il provvedimento , approvato in giugno , avrebbe concesso mano libera alla Försvarets Radioanstalt ( FRA ), l’agenzia civile subordinata al Ministero della Difesa che da decenni vigila sulle comunicazioni che passano dentro e fuori dalla Svezia: sarebbe dovuto spettare alla FRA il controllo pervasivo e routinario di email e telefonate che si fossero scambiate tra la Svezia e l’estero. Intercettazioni e data mining sulle comunicazioni tra svedesi e cittadini di altri paesi, assicuravano le autorità locali, avrebbero sventato sul nascere le minacce terroristiche.
Si trattava di un’architettura di sorveglianza edificata senza offrire le minime garanzie ai cittadini sorvegliati: si erano moltiplicate le pressioni sulla sfera politica affinché le autorità esercitassero un controllo sul potere affidato alla FRA, un potere che avrebbe potuto irrompere nella quotidianità del cittadino svedese e di chiunque comunicasse dall’estero con la Svezia. Si erano espressi contro la legge da The Pirate Bay, intravedendo nel provvedimento un rischio per i condivisori di contenuti, avevano messo a disposizione dei netizen strumenti per tutelare la propria riservatezza online. Si erano infervorati i cittadini della rete, dimostrando la propria preoccupazione con una massiccia operazione di mailbombing sferrata contro il parlamento; aziende come Google avevano minacciato di lasciare il territorio svedese per migrare, server sottobraccio, verso altri lidi.
Ora, la retromarcia del governo svedese: sono stati approvati degli emendamenti alla controversa legge sulla sorveglianza delle comunicazioni per assicurare maggiori tutele ai cittadini svedesi e a coloro con cui i cittadini svedesi sono in contatto. La sorveglianza sulle comunicazioni non sarà più una pratica quotidiana , i flussi di email, fax, SMS e i contenuti delle telefonate tra la Svezia e l’estero non scorreranno fra le mani della FRA: il governo e le forze dell’ordine dovranno passare per uno speciale tribunale . Le richieste di monitoraggio verranno accordate dal tribunale solo qualora si dimostrino utili per contrastare minacce armate internazionali, non semplicemente minacce che vengono dall’estero.
Ma non è la sola ragione della sicurezza a giustificare il monitoraggio dei comportamenti dei cittadini: la vita di relazione dell’individuo, le sue abitudini nell’informarsi, i suoi interessi sono merce di cui si nutre il mercato. Se solo il legislatore può disinnescare le dinamiche della sorveglianza a livello statale, ci sono numerosi attori che intendono agire sulla sorveglianza a livello commerciale: primi fra tutti, i provider. Non tutti sono disposti a mettersi al servizio degli inserzionisti e a vigilare sui comportamenti online degli utenti inimicandosi i cittadini della rete: tre fra i maggiori ISP statunitensi si sono presentati di fronte al Congresso e hanno offerto la propria ricetta per il behavioral advertising.
Così come nel Regno Unito, negli States esistono servizi di monitoraggio a fini pubblicitari che si sono incuneati tra provider e netizen: così come nel Regno Unito questo tipo di attività è finita nel mirino della autorità. Ma se nell’Isola le autorità hanno sancito la legalità di Phorm mentre si medita sulle soluzioni per meglio far digerire le intercettazioni ai propri utenti, negli States il Congresso sembra ancora indeciso sul da farsi: NebuAd è sotto esame da mesi e a dichiarare di volerne temperarne l’invasività sono gli stessi provider che potrebbero monetizzare le abitudini degli utenti. A esprimere il proprio parere di fonte al Congresso sono Time Warner, Verizon e AT&T, che di recente si è coalizzata con l’industria dei contenuti e produttori di hardware per vigilare sul file sharing illegale. Sottolineano la propria disponibilità ad autoregolamentarsi senza scomodare il legislatore per assicurare all’utente informazioni esplicite e dettagliate che possano guidarli nella scelta di aderire.
Ma le tre aziende vorrebbero di più : tutti gli intermediari della rete, a partire dagli altri provider per arrivare fino a Google , dovrebbero far firmare un contratto ai propri utenti prima di monitorare qualsiasi tipo di comunicazione. Dovrebbe spettare ad un netizen consapevole la scelta di approfittare di un servizio di tracciamento e di pubblicità personalizzata, o preferire di declinare questo tipo di offerte. Il consumatore statunitense, ha spiegato il senatore Byron L. Dorgan durante l’udienza, teme di essere profilato, teme che la propria vita online sia sottoposta a tracciamento. Ma il 48 per cento dei cittadini degli States, mostra un’ indagine del Consumer Reports National Research Center, crede ancora che per monitorare le attività online sia necessario il via libera di un giudice. Ma non è così e il 48 per cento dei cittadini statunitensi sbaglia.
Gaia Bottà