Donald Trump ha firmato un memorandum per chiedere al Rappresentante per il commercio degli Stati Uniti di valutare tutte le misure, dazi inclusi, come ritorsione alle tasse digitali imposte alle aziende statunitensi. Sotto accusa anche alcune leggi europee, tra cui il Digital Markets Act e il Digital Services Act.
Trump contro le tasse alle Big Tech
La tassa sui servizi digitali è una forma di imposta sul fatturato che deve essere pagata dalle aziende nei paesi in cui offrono servizi digitali. Durante il suo primo mandato, Trump aveva avviato indagini nei confronti di dieci giurisdizioni, tra cui l’Italia, in quanto la tassa è stata considerata discriminatoria nei confronti delle aziende USA.
L’amministrazione Biden aveva sottoscritto un accordo con Italia, Austria, Francia, Spagna e Regno Unito che prevede la sospensione delle misure unilaterali introdotte dai suddetti paesi, in attesa della riforma fiscale concordata dai paesi appartenenti all’OCSE. Tale riforma ha introdotto una “global minimum tax” del 15% che si applica alle aziende nazionali e internazionali con entrate superiori a 750 milioni di euro all’anno.
Durante il suo primo giorno alla Casa Bianca, Trump ha firmato un ordine esecutivo che annulla l’accordo sulla tassa globale della precedente amministrazione (tra l’altro mai ratificato dal Congresso).
Con il memorandum firmato il 21 febbraio vengono riaperte le indagini del 2019, in quanto le tasse sui servizi digitali sono considerate discriminatorie. Nel testo viene usato il termine estorsione. Trump ha quindi chiesto al Rappresentante per il commercio di valutare eventuali misure di ritorsione, tra cui l’applicazione di dazi ai prodotti importati negli Stati Uniti dai paesi che impongono la tassa.
Nello stesso memorandum viene confermato l’esame delle normative europee che ostacolerebbero la libertà di parola, come il Digital Markets Act e il Digital Services Act. Queste leggi sono state criticate sia da Trump che dal suo vice.