Una domanda di base molto semplice e diretta: come si comporteranno le varie tech company quando i governi più repressivi vorranno aumentare il livello di censura con le più disparate armi informatiche? In generale, come si pongono le aziende high-tech davanti all’ipotesi di distribuire (guadagnando) sistemi di filtraggio e sorveglianza delle attività digitali? Hanno risposto oltre mille analisti di mercato, esperti in telecomunicazioni, guru high-tech: questo il campione del nuovo studio pubblicato dal Pew Internet & American Life Project in collaborazione con il centro Imagining The Internet presso la School of Communications della statunitense Elon University .
Il 51 per cento del campione selezionato dal Pew Internet ha sottolineato come – entro l’anno 2020 – le aziende presenti nei paesi democratici sceglieranno certamente di aderire alle norme internazionali che proteggono i diritti fondamentali dei cittadini . E dunque limitando la distribuzione di tecnologie per la censura e l’identificazione degli utenti.
Al contrario, il 40 per cento degli intervistati ha messo in evidenza il classico “desiderio di profitto”, che guiderà le tech company occidentali verso le esigenze dei vari regimi come l’Iran o la Cina. “È come un miscuglio dei due scenari, entrambi i trend continueranno”, ha dichiarato la co-autrice dello studio Janna Anderson.
Tracciamento delle attività digitali, blocco dei social network e delle grandi piattaforme del microblogging, divieto d’accesso ai servizi di telecomunicazioni. Sono solo alcune delle forme di controllo e censura adottate dai governi autoritari per stroncare il dissenso e la libera circolazione delle opinioni in Rete . Alla fine dello scorso aprile, Il Presidente statunitense Barack Obama aveva firmato un ordine esecutivo per imporre sanzioni più drastiche a tutti quei paesi che sfruttano la tecnologia come arma per calpestare i diritti umani. Per impedire che aziende e soggetti privati possano supportare gli ormai famosi nemici di Internet.
Mauro Vecchio