Tecnocontrollo, la tutela costituzionale dei lavoratori

Tecnocontrollo, la tutela costituzionale dei lavoratori

Il Garante per la Privacy torna sulla questione dell'accesso da parte del datore di lavoro alle conversazioni intrattenute online dai propri dipendenti. E ribadisce l'illiceità di tali comportamenti
Il Garante per la Privacy torna sulla questione dell'accesso da parte del datore di lavoro alle conversazioni intrattenute online dai propri dipendenti. E ribadisce l'illiceità di tali comportamenti

Il datore di lavoro non può spiare le conversazioni Skype dei dipendenti: a tornare sull’argomento è il Garante per la Privacy italiano, che ha accolto il ricorso di una dipendente che contestava l’utilizzo da parte del suo datore di lavoro di conversazioni avute con alcuni clienti ed alcuni fornitori attraverso il servizio VoIP ed acquisite per giustificare il suo licenziamento, secondo l’accusa e quello che ora riferisce l’Authority, illecitamente.

Il caso è quello che vede una ex dipendente della Zordan Logistica S.r.l. contestare il contenuto della lettera di licenziamento ricevuta in quanto basata, a suo avviso, sull’illecita acquisizione di conversazioni intrattenute con alcuni clienti/fornitori attraverso il servizio VoIP.

L’ex dipendente era ricorsa al Garante per segnalare la violazione della privacy in quanto il datore di lavoro avrebbe avuto accesso a tali conversazioni approfittando del suo account Skype: un’accusa che non è ammorbidita dal fatto che l’azienda segnalasse a propria discolpa il fatto che fosse stata la stessa lavoratrice a lasciare il proprio account Skype aperto sul computer aziendale, lasciato a sua volta acceso all’uscita dall’ufficio. L’azienda aveva peraltro provveduto ad installare un software per tenere traccia delle cronologie delle conversazioni, a cui la dipendente fa risalire il tracciamento e la raccolta dei dati.

L’authority ha dunque stabilito che le conversazioni siano state raccolte in violazione delle policy aziendali concordate con la Direzione Territoriale del Lavoro di Verona, in violazione delle stesse linee guida del garante ma soprattutto del codice penale e dell’articolo 15 della Costituzione a tutela della corrispondenza.

La decisione del Garante si può confrontare con la sentenza 17 dicembre 2014-27 maggio 2015, n. 10955 della Corte di Cassazione che, nella diatriba tra P.A. srl ed un suo ex dipendente licenziato per essersi allontanato per una telefonata privata di circa 15 minuti che gli aveva impedito di intervenire prontamente su di una pressa, aveva ritenuto giustificato in sede processuale l’accesso e l’utilizzo delle conversazioni Facebook del dipendente da parte del datore di lavoro.

Il tutto si inserisce poi nel dibattito aperto in materia di tecnocontrollo e di trend seguito negli altri paesi , dove i mezzi di comunicazione digitali sono spesso visti come un mezzo di coercizione del datore di lavoro, nonché nell’interpretazione con la riforma del settore attuata attraverso il Jobs Act , che prevede che gli strumenti di lavoro non possano essere usati sistematicamente come strumenti mirati al controllo delle attività e del comportamento dei lavoratori.
La nuova specificazione del Garante della Privacy sembra chiarire ancora una volta che un datore di lavoro non può effettuare alcun trattamento dei dati personali contenuti nelle conversazioni ottenute in modo illecito , limitandosi alla conservazione di quelli finora raccolti ai fini di una eventuale acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria ed ha altresì ribadito che il contenuto di comunicazioni di tipo elettronico o telematico scambiate dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro godono di garanzie di segretezza tutelate anche a livello costituzionale .

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
29 set 2015
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