Roma – Mi sarei volentieri risparmiato di segnalare la querelle tra Apple e Apple, soprattutto perché è una brutta questione di trademark, arrugginito strumento che viene agitato come difensore dell’impresa e che invece, come già molto copyright e diritto d’autore, si rivela spesso e volentieri palla al piede della rivoluzione digitale.
Per chi avesse vissuto gli ultimi tre giorni in un beato altrove, riassumo il caso in questione, nato dai diritti di Apple Corporation sul marchio “Apple”, diritti che l’azienda dal 1976 ad oggi ha più volte difeso in tribunale contro Apple Computer di Steve Jobs. Jobs, pagando decine di milioni di dollari di danni, ha dovuto prima accettare di poter usare il nome Apple solo per business che in nessun modo fossero collegati alla musica e ha poi dovuto (ri)pagare per aver messo in commercio un computer capace di riprodurre musica. A tutto questo, va aggiunto che Apple Corp. è proprietà dei Beatles superstiti e dei loro eredi, detiene i diritti sulle opere della band di Liverpool ed è quindi una gallina dalle uova d’oro che, come tale, è difesa da una schiera di azzeccagarbugli in armi. Ma proprio perché etichetta dei Beatles, Apple fu scelta da Jobs quale nome della propria azienda.
Ora, secondo Apple Corporation, Jobs è cascato nell’errore ancora una volta. Non solo ha creato iTunes, un jukebox digitale, ma promuove le sue attività come Apple Music . E questo, secondo Apple Corp., viola l’accordo che vieta all’azienda di Jobs di entrare nel music business a qualsiasi titolo. Nel mirino degli avvocati beatlesiani potrebbe entrare anche iPod, il player multimediale di Apple Computer che consente, appunto, di ascoltare musica.
Come ha spiegato un portavoce del costruttore di Cupertino, le due Apple “divergono sull’interpretazione” da dare agli accordi precedenti tra le due imprese: ergo serve di nuovo un giudice che esplori il caso. Una sorpresa? Niente affatto. Difficile davvero pensare che dopo aver sborsato decine di milioni di dollari, Apple Computer si sia ora lanciata nell’avventura di iTunes e iPod senza aver preventivamente calcolato che, così facendo, Apple Corporation avrebbe dato fuoco alle polveri.
Ma è assolutamente singolare che ad essere tacciata di violazione di trademark sia proprio un’azienda, Apple Computer, capace in questi anni di perseguire per simili violazioni chiunque, mica solo colossi, anche giovani webmaster, sviluppatori indipendenti, superando spesso e volentieri la soglia del buonsenso. E’ capitato con un jukebox per Linux che era stato battezzato XTunes , è accaduto con siti di gossip sulla Mela attaccati da Cupertino per motivi del tutto opinabili , è accaduto con sviluppatori di temi per WindowsXP censurati per averne sviluppati di troppo simili a quelli di Mac OS X. E’ assolutamente paradossale che proprio questa azienda, quella che intenta cause internazionali se sul mercato arrivano computer che assomigliano ai propri, ancora una volta sconfini nel territorio di una pre-esistente etichetta discografica con la quale ha già perso due volte in tribunale e alla quale ha già dovuto versare decine di milioni di dollari.
La morale della storia? Nessuna, naturalmente, se non fosse che per una volta il trademark si rivela pericolosa quinta colonna per chi fin qui lo ha usato per costruire trincee proprietarie anziché metterlo in discussione. E questa è una buona notizia.