Nel 2009 il tecnostress festeggerà i suoi primi 25 anni di studi e ricerche. In questo quarto di secolo il torrente di bit è aumentato in proporzioni impressionanti, fino a travolgere i nostri neuroni , sradicare continuamente l’attenzione dal punto focale, sommergere il cervello di news e lasciare esausto il corpo a sera tardi. Si può vivere e lavorare come macchine? Meglio: siamo macchine? Credo che questa convinzione sia uno degli errori fondamentali della mentalità tecnologica. Ossia che possiamo spingere, spingere, e dunque pensare di essere inesauribili. Come le macchine. Il problema fondamentale è la quantità di energia disponibile. Un computer può lavorare senza tregua finché ha energie disponibili e dispositivi funzionanti. Gli uomini no. Noi siamo esseri che evolutivamente siamo inseriti in una meraviglioso e misterioso ciclo di veglia e sonno, lavoro e riposo. Se spezziamo questo equilibrio, se spingiamo come le macchine, il tecnostress diventa una malattia. E il tracollo è possibile.
Ho letto il Rapporto Ocse 2008 sull’occupazione, presentato in questi giorni: un lavoratore italiano su dieci ritiene di avere problemi di salute mentale legati al lavoro. Si parla di stress, insonnia, crisi d’ansia. Scaricate il Rapporto e leggete anche voi a pagina 7. La cosa mi fa riflettere. Cosa può scatenare l’insonnia e le crisi d’ansia? Troppi impegni? Sì certo, ma dietro gli impegni odierni ci sono le informazioni digitali nella maggior parte dei casi. E poi, tempi veloci? Si, indubbiamente, ma accelerati spesso dall’uso multiplo delle nuove tecnologie. Ovvero il multitasking . Così lo stress diventa tecnostress. E i sintomi clinici sono proprio le crisi d’ansia, insonnia, ipertensione, e nei casi gravi depressione, stanchezza cronica. A questo punto c’è un problema di tutela della salute che va affrontato. E siccome le aziende sono fatte di individui, se la loro salute mentale e fisica viene compromessa, lo è anche la redditività dell’impresa. Ecco perché nei dibattiti e nei forum a cui partecipo ripeto che il sovraccarico informativo può essere un “rischio d’impresa”.
Per i “25 anni del tecnostress” ho pensato di far sedere intorno a un tavolo gli esperti della materia, soprattutto americani e inglesi. È utile fare il punto della situazione, poiché molte cose sono cambiate dal 1984 , anno in cui lo psicologo Crai Broad diede alle stampe “Technostress; the cost of the computer revolution” . L’evento è organizzato da run for tecnostress Network e si chiamerà “Tecnostress: the first 25 years in the world” , che si terrà l’anno prossimo durante la terza edizione del Roma Caput Media , evento Ict e web oriented promosso da Wireless . Spero di avere in Italia il dottor Larry Rosen , attualmente forse il maggior esperto di tecnostress negli Stati Uniti. Sarà l’occasione per un confronto aperto con le aziende che operano nell’information technology.
Le prime ricerche – Tecnostress è una parola coniata dallo psicologo americano Craig Broad, autore del libro “Technostress: the uman cost of computer revolution” – (Tecnostress: il costo umano della rivoluzione dei computer) – edito nel 1984 da Addison Wesley (288 pagine). Era la prima volta che si affrontava il tema dello stress derivante dall’uso di tecnologie e il suo impatto sul piano psicologico. Broad definì il tecnostress “il disturbo causato dall’incapacità di gestire le moderne tecnologie informatiche”. Secondo lo psicologo i disturbi principali erano ansia, affaticamento mentale, attacchi di panico, depressione, incubi, attacchi di rabbia (dovuti in particolare alle difficoltà di utilizzo dei computer e dei software). Ma da allora molte cose sono cambiate. Internet è diventato lo strumento universale d’informazione. Il videotelefono-computer si è diffuso sul mercato. La tv è diventata digitale. E altri oggetti digitali sono diventati di uso comune. Quindi, come si può dedurre, il suo studio è vincolato al periodo in cui è stato realizzato (gli inizi degli anni ’80) quando il computer aveva poche funzioni e il sistema operativo era molto elementare.
Studi successivi – Dopo lo studio di Broad, bisogna aspettare dodici anni per una nuova pubblicazione di particolare interesse sul tecnostress. Nel 1996 il professor Richard A. Hudiburg del Dipartimento di Psicologia dell’Università del Nord Alabama (Usa) presenta a New York la ricerca “Assessing and Managing Technostress” (Valutazione e gestione del Tecnostress), incentrata sul rapporto tra stress, nuove tecnologie e l’attività del bibliotecario. La nuova ricerca fu infatti sponsorizzata dalla Association of College & Research Libraries. Dunque Hudiburg, dopo aver preso in considerazione il concetto di tecnostress di Craig Broad, analizza l’evoluzione dello stress nella società moderna (dobbiamo pensare che in America le tecnologie informatiche erano all’epoca molto utilizzate in ambito accademico e universitario), infine illustra i risultati della sua ricerca e spiega gli effetti sulla salute dell’uomo.
Hudiburg è stato anche il primo a formulare un “tecnostressometro”, ossia una scala di valori per misurare il proprio livello di stress rispetto all’utilizzo degli apparecchi digitali. Solo che l’elenco di tali apparecchi risulta ormai obsoleto, perché molti non sono più utilizzati con frequenza (come il fax o il masterizzatore cd). Rispetto al futuro, il ricercatore americano sostiene che il tecnostress sarà un problema sempre più diffuso, una sorta di “ubriacatura di bit”, un alcolismo delle informazioni.
A febbraio del 1998 esce invece la prima ricerca sul rapporto tra tecnostress e organizzazione del lavoro. L’autrice inglese Nina Davis Millis, direttore del Dipartimento Mit Libraries of Systems and Technology Services, organo del prestigioso Mit (Massachussets Institute of Technology), si concentra sul rapporto tra tecnologie, stress e organizzazioni del lavoro (partendo dalla sua esperienza professionale). Il titolo della nuova ricerca: “Technostress and the Organization: a Manager’s guide to survival in the Information Age” (Tecnostress e Organizzazioni: una guida per la sopravvivenza nell’Era dell’Informazione). Lo studio affronta il rapporto tra l’individuo e le nuove tecnologie dell’informazione che si diffondono negli ambiente di lavoro. Soprattutto fa riferimento ai lavoratori che in genere archiviano dati. Dunque già all’epoca il sovraccarico informativo (information overload) era avvertito negli ambienti accademici americani come una delle cause del tecnostress. Riferendosi al proprio ambiente di lavoro (ma in fondo sembra parlare a tutte le professioni) Nina D. Millis scrive:
“Il tecnostress è un problema. Il problema è reale. E non riguarda esclusivamente le persone che ne sono afflitte. Dal mio punto di vista, riguarda l’interazione tra noi e l’uso che facciamo della tecnologia, il legame tra la tecnologia e noi stessi”
Sempre nel 1998 gli psicologi americani Larry Rosen e Michelle M. Weil pubblicano il libro “TechnoStress: Coping With Technology @Work @Home @Play” e il tema irrompe nel mondo del lavoro e delle aziende. Il settimanale Newsweek scrive: “In definitiva, affrontare il tecnostress è un imperativo commerciale. Il settore ha esaurito il numero di acquirenti disposti a tollerare prodotti complessi e alienanti…”. Nel breve panorama delle ricerche più importanti bisogna includere, infine, quella di Stephen Harper, ricercatore presso l’università scozzese di Glasgow. Nel 2007 pubblica uno studio sul tecnostress, in cui per la prima volta elenca le conseguenze sul piano fisico, psicologico ed emozionale. Ma l’elenco delle ricerche è molto più lungo e per motivi di spazio ho ricordato solo le più rilevanti.
A parte gli studi effettuati in questi 25 anni, non mi risulta che siano state però adottate importante iniziative concrete di prevenzione. Ossia offrire soluzioni. Per questo motivo ho creato la prima comunità di lavoratori info-tech che si confrontano sul tema del tecnostress, cioè un social network. Per poi incontrarsi, però, all’aria aperta e praticare attività benessere. Il primo raduno si svolgerà dal 25 al 27 luglio 2008, nel bosco di Pisciarelli (Bracciano), presso il centro olistico Borgo Paola : natura, meditazione, cibo sano, relax pomeridiano in piscina e serata di percussioni. Se volete ricevere il programma scrivete qui .
Enzo Di Frenna
Runfortecnostress Network
enzodifrennablog