Un match sbilanciato. Da un lato il nostro cuore e dall’altra i computer, le informazioni, gli smartphone. Chi vince? A quanto pare, l’organo che segna il ritmo della nostra esistenza rischia di andare al tappeto. Ogni giorno di più. Vivere di corsa, chiamati all’uso di tanta tecnologia e info-messaggi, può favorire l’insorgere del tecnostress e ciò comporta seri rischi per il buon funzionamento del cuore. Ho intervistato alcuni dei principali specialisti e mi hanno confermato che il rischio è reale. Maurizio Cotrufo , direttore del dipartimento scienze cardiotoraciche e respiratorie dell’Azienda ospedaliera Monaldi di Napoli (il padre dei trapianti in Italia, per intenderci): “Dal punto di vista scientifico lo stress di qualunque genere può generare disturbi cardiocircolatori – spiega – dunque anche il tecnostress è certamente un fattore da non sottovalutare. Spesso i miei pazienti dopo aver subito un intervento mi chiedono: “Professore, ma adesso posso lavorare come prima?”. Io rispondo che possono lavorare tranquillamente, facendo però attenzione a non strafare. Le professioni ad alto impatto tecnologico sono comunque da considerare più a rischio di altre, perché l’uso eccessivo di nuove tecnologie informatiche può generare un alto livello di stress”.
Ricerche medico-scientifiche sull’argomento ancora non esistono. Il tecnostress è in realtà una sindrome abbastanza recente. Ma i medici concordano sulla pericolosità, perché gli effetti dello stress sulla nostra salute sono stati invece ampiamente studiati in ambito ospedaliero. Me lo conferma Marco Diena, direttore del gruppo per la prevenzione e cura della malattie cardiovascolari Cardioteam , che riunisce cardiologi, cardiochirurghi, anestesisti perfusionisti ed infermieri. “Il tecnostress in linea teorica è un moderno fattore di rischio per il cuore, anche se non risultano sul piano scientifico studi approfonditi sul tema. È accertato invece che forme prolungate di stress possano alterare la pressione arteriosa e favorire l’insorgere delll’ipertensione”. Poi aggiunge: “Il vero problema del tecnostress è l’alterazione della vita naturale, il continuo flusso di informazioni che genera tensione psichica, con conseguenze dirette sul corpo. È purtroppo un meccanismo ormai radicato in molti ambienti di lavoro: bisogna studiare il modo per recuperare un stile di vita più sano e naturale, se vogliamo prevenire un problema che nei prossimi anni potrebbe registrare uno sviluppo maggiore”.
Dietro il tecnostress “patologico” secondo alcuni medici c’è una psicologia ben delineata. Valori come “azienda”, “competizione”, “successo” spingono ad uso eccessivo ed errato dei nuovi media informatici. È la tesi ad esempio di Luigi Chiariello, direttore della cattedra di Cardiochirurgia dell’Università Tor Vergata di Roma: “L’evoluzione moderna dello stress, cioè il tecnostress, può determinare problemi cardiaci a medio o lungo termine. Uno dei fattori di rischio è infatti l’ipertensione che scaturisce attraverso l’uso prolungato di nuove tecnologie, fattore che è scientificamente riconosciuto come un rischio per il cuore. È stato anche riscontrato che le personalità arriviste, con una forte carica aggressiva, sono quelle più esposte a rischio d’infarto. È inoltre importante lavorare sulla prevenzione, oppure ricorrere ai farmaci per ridurre l’ipertensione”.
È mia intenzione, nei prossimi mesi, approfondire il rapporto tra cuore e tecnostress. Credo che, insieme al cervello, sia tra gli organi più esposti al sovraccarico informativo. Intanto i farmaci antipertensivi sono i secondi più venduti al mondo e se ne fa sempre più uso. Dunque: che prezzo bisogna pagare per stare al passo coi tempi? Riusciremo ad adattarci o saremo destinati in futuro ad un incremento del rischio infarto? “Il tecnostress è un problema serio. L’uso delle nuove tecnologie della comunicazione comporta indubbiamente un aumento del rischio ipertensione – mi conferma Ottavio Alfieri, direttore del Dipartimento Cardiotoraco-vascolare dell’ospedale universitario San Raffaele di Milano – il problema sta nel flusso enorme delle informazioni, che professionisti e manager sono sempre più spesso chiamati a gestire a ritmi incalzanti e per molte ore al giorno. Io stesso, ad esempio, ricevo circa cento messaggi al giorno e in certi momenti non è semplice dare risposta a tutti. Inoltre la vita moderna comporta anche cattive abitudini alimentari, altro fattore a rischio per il cuore. Credo comunque che l’uomo abbia una grande capacità di adattamento, e in una certa misura il tecnostress sarà più “sopportabile” per le nuove generazioni”.
Ho letto una recente ricerca inglese sul rapporto tra stress e logorio delle arterie, condotta su 10 mila funzionari britannici e pubblicata su European Heart Journal : ha dimostrato che un lavoro tecno-stressante aumenta i rischi cardiovascolari. E gli under 50 sono risultati i più vulnerabili.
I ricercatori, diretti da Tarani Chandola dell’University College di Londra, hanno documentato numerosi parametri cardiovascolari ed endocrini, oltre alle abitudini alimentari e dipendenza dal fumo. “Chi è sottoposto sul lavoro ad una tensione costante, manifesta alterazioni dell’attività del sistema nervoso e delle regolazioni che questo opera sul funzionamento del cuore, arterie coronarie comprese”, afferma lo studio inglese. Già, proprio così: essere sottoposti ad una tensione costante. Quanti conoscono questa sensazione, oggi? Chi può dire che ne è immune, mentre lavora al computer o parla a telefono?
Nel 2000, quando scrivevo di tecnostress e videodipendenze, molti osservatori della Rete ebbero reazioni piuttosto risentite, in alcuni casi perfino ironiche e con commenti duri. Ho sempre pensato che chi adora (e vive) di tecnologia, ha spesso una visione parziale del fenomeno. A distanza di otto anni la coscienza collettiva sulle nuove sindromi digitali per fortuna è cresciuta. Molti imprenditori del settore Ict mi confessano di essere spesso sopraffatti dalla mole di informazioni che gestiscono ogni giorno. Un giovane manager milanese, durante un recente forum sulla “Mobil Work Life” a cui ero invitato a partecipare, mi ha confidato: «Il tecnostress è bastardo!”. Mi ha poi rivelato che spesso ha la sensazione del “cervello che frigge”. È proprio questo livello di tensione costante – connesso alla gestione delle informazioni – che può favorire l’insorgere dell’ipertensione. Cioè uno dei principali fattori di rischio che conducono all’infarto. Ne vale la pena? Essere “always on”, sempre connessi, è un prezzo da pagare per la nostra salute? E soprattutto: si può fare qualcosa per non cadere in questa trappola?
I medici che ho interpellato consigliano di praticare attività sportiva. Oppure pongono l’attenzione sulle “pause salutari” e sulla decisione di condurre uno stile di vita più equilibrato. Da soli non è facile. Si rischia di farlo solo per qualche giorno, poi si ripiomba nel torrente infotecnologico. Da questa crescente e diffusa esigenza è nato Runfortecnostress Network , la prima comunità di info-lavoratori, manager e liberi professionisti che si confrontano sul problema del tecnostress in azienda. È un progetto a cui tengo molto. La mia idea è usare la Rete per confrontarsi e conoscersi su questo tema di forte attualità, ma darsi poi appuntamento all’aria aperta, correre insieme a colleghi d’ufficio o amici, organizzare escursioni in montagna, attività benessere, giornate di meditazione. Voi che ne pensate?
Enzo Di Frenna
Runfortecnostress Network
Enzo Di Frenna, giornalista e presidente di Netdipendenza onlus , è autore del libro “Tecnostress in azienda: sovraccarico informativo e rischio d’impresa”. Ha curato le prime due ricerche in Italia sull’argomento, condotte su un campione di 424 interviste (operatori Ict e professioni info-tech) e ha creato Runfortecnostress Network , la prima comunità per la prevenzione del tecnostress. Questo è il suo blog