Venerdì 10 ottobre ero a Milano nella centrale galleria Vittorio Emanuele. Un fiume di persone si muoveva concitatamente tra insegne luminose, vetrine, schermi piccoli e grandi. Dovevo presentare il nuovo studio su “Tecnostress, sentimenti e calo del desiderio”. Un problema serio, che influisce sulla nostra felicità. Al centro della galleria c’era un palco, uno schermo gigante, una trentina di sedie. Il fiume di persone, come acqua intorno a un sasso, scorreva intorno. Le intenzioni di Innovation Circus , la kermesse milanese sull’innovazione tecnologica, erano di catturare l’attenzione del fiume di persone. È accaduto l’esatto opposto.
Prima del mio intervento, previsto alle ore diciotto, si parlava di Internet. Sul palco ho notato Massimo Mantellini, insieme ad altri tre relatori. Sotto, una decina di sedie erano occupate mentre il fiume scorreva. Credo che anche lui abbia notato la stranezza. Tornando a casa ha scritto sul suo blog: “È una cosa strana chiacchierare di cose importanti di fronte ad un pubblico quanto meno casuale…”
Nel tardo pomeriggio si parlava invece di sesso, amore e tecnostress. Un tema altrettanto importante. Con me sul palco c’erano Giorgia Notari e Chiara Baietto, entrambe psicologhe, ed il presidente di Assodigitale, Michele Ficara Manganelli. Sotto, un pubblico ridotto e molte sedie vuote. Ma intorno, dal palco, osservavo centinaia di persone che fluivano. Alcuni parlano al telefono e camminavano. Altri ascoltavano qualcosa con le cuffiette e camminavano. Altri ancora andavano rapidamente in una certa direzione. Mi sono reso conto che sarebbe stato difficile fargli sapere che si parlava di amore e tecnostress. Ho ricalcato verbalmente le loro azioni, dicendo: “Vedo tante persone camminare in questo momento, alcuni parlano al telefono, altri vanno verso qualcosa, e forse si accorgeranno che parleremo di caldo desiderio sessuale generato dai tempi veloci della vita tecnologica…”. Qualcuno si è fermato. Ha alzato la testa sopra le acque del fiume. Si è avvicinato. Erano soprattutto donne. Ma, nonostante tutti i miei trucchi di comunicazione, la platea era ancora ridotta.
Con questo voglio dire che la velocità ci divora. Cannibalizza la nostra attenzione. Ci stordisce. E finisce che non c’è tempo per le cose importanti. Oppure, come è accaduto a Innovation Circus, si commette il banale errore di organizzare un talk show al centro di una impetuosa corrente di persone, banalizzando l’argomento. Si pensa: da lì passa tanta gente, non avremo il problema della sala vuota. Errore. C’è sì tanta gente, ma tutta distratta. Ipnotizzata dalla rapidità, dai troppi stimoli visivi, sonori, cinestesici. Il pool di psicologi e sessuologi che abbiamo intervistato a proposito del tecnostress e desiderio sessuale, ci ha confermato che uno dei problemi risiede proprio nel fatto che l’urgenza riduce i tempi e gli spazi dell’amore. Mi diceva Willy Pasini, psichiatra e sessuologo: “La vita moderna ci sottopone spesso ad una accelerazione e l’urgenza può prendere il sopravvento. Quando non c’è abbastanza tempo per nulla, l’innamoramento viene soffocato ed anche il rapporto di coppia ne risente, anche sotto il profilo del desiderio sessuale. Vivere così, cioè alla velocità delle macchine, può spegnere il desiderio e in casi gravi può addirittura favorire disfunzioni erettili e impotenza di natura psicologica”.
La velocità frantuma. Se mettiamo una mela in una centrifuga, diventa polpa. Se una giostra gira troppo in fretta, ci sentiamo male e vomitiamo. La società tecnologica, tra i suoi aspetti negativi, genera il problema di accelerare la nostra vita. Ci fa diventare esseri distratti. Ci fa vivere con la sensazione continua che ci sia l’urgenza di fare qualcosa. Come potete immaginare, alla lunga la salute mentale e fisica ne può risentire. Dunque, che prezzo paghiamo per stare al passo con i tempi? Cosa rischiamo di diventare? Mentre tornavo da Milano in treno, riflettevo sull’immagine del fiume umano sempre in corsa. Avevo davanti una donna e un uomo: erano entrambi indaffarati a far qualcosa col loro potente notebook. Alla mia destra un altro viaggiatore e lo schermo del suo pc portatile: ci è rimasto attaccato oltre quattro ore. Alzandomi al centro del vagone, ho notato una decine di persone connesse al pc e altrettante impegnate col cellulare. Madonna santa, ho pensato. Ma che stiamo diventando?
Alla fine mi sono seduto. Ho iniziato a leggere Repubblica e in prima pagina c’era il richiamo a una notizia interessante: “Così Internet ci cambia il cervello”. Uno studio dello University College di Londra diceva che l’uso della Rete sta cambiando il nostro modo di pensare: “Chi usa Internet ormai salta da una parte all’altra, naviga in orizzontale tra titoli e riassunti, e la sua tensione e il suo scopo non sono l’epica e il racconto, l’analisi e il profondo, ma la rapidità”. Urgenza, informazioni, connessione, attenzione sempre rivolta verso un monitor. Voi siete tra quelli che stanno iniziando ad avvertire un qualche fastidio?
Enzo Di Frenna
www.enzodifrennablog.it
http://runfortecnostress.ning.com
I precedenti interventi di EdF sono disponibili a questo indirizzo