Roma – Digital divide? Ritardo tecnologico nelle infrastrutture di rete a banda larga? Il vero problema, in Italia, è una tangibile insufficienza nello sviluppo della domanda di servizi su internet veloce. Parola di Franco Bernabé, amministratore delegato di Telecom Italia, che si è espresso durante un’audizione alla commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni alla Camera in merito alla necessità, per il Belpaese, di accelerare lo sviluppo della Next Generation Network .
“Telecom Italia – ha dichiarato – è pronta ad assumere un ruolo primario per una crescita del sistema delle telecomunicazioni che consenta di mantenere il nostro paese all’avanguardia in questo settore, ma va assicurato un adeguato ritorno economico sugli ingenti investimenti necessari” e sarà necessario valutare con prudenza eventuali interventi legislativi nel settore. Il riferimento è alla possibilità di attuare uno lo scorporo della rete di Telecom Italia: secondo il manager, i provvedimenti normativi in questo senso potrebbero compromettere la possibilità per l’incumbent di rifinanziare il debito e di accedere a importanti risorse necessarie per gli investimenti.
Già il debito. L’AD dell’azienda lo illustra così: “Telecom Italia ha oggi 43 miliardi di debito lordo, 37 di debito netto e circa 30 miliardi di bond sul mercato per cui ha la necessità di rifinanziare costantemente questo livello di debito. Coloro che hanno garantito questo debito hanno come garanzia le infrastrutture e gli investimenti fatti da Telecom nel passato” (anche quando era un’azienda dello Stato Italiano, ndR). Bernabé ha comunque tenuto a sottolineare che “il debito di Telecom è di grandissima tranquillità e ben strutturato”, aggiungendo che la compagnia telefonica dispone di “24 mesi di liquidità”.
Ogni variazione della struttura societaria, ha poi avvisato, dovrà passare il vaglio degli azionisti e di tutti i soggetti che hanno contribuito alla crescita della compagnia telefonica: “Non è una cosa che si può realizzare con facilità come appare dal dibattito di questi ultimi mesi” ha osservato, ricordando l’apertura della divisione Open Access, con cui, aggiunge, “abbiamo fatto uno sforzo molto rilevante che non ci era nemmeno richiesto”.
La richiesta, in realtà, premeva da tempo. Un primo passo era stato fatto nel 2001 dalla Corte dei Conti , ma poi non se ne è più parlato praticamente fino a due anni fa, quando l’associazione Anti Digital Divide è tornata sulla questione – guadagnandosi l’attenzione del Ministero delle Comunicazioni – quando aveva sollecitato Governo, Antitrust e Authority delle Comunicazioni ad adoperarsi per favorire la concorrenza di un mercato ingessato dalla posizione dominante dell’ex monopolista, generando una discussione che ancora oggi non ha trovato soluzione di continuità.
Il piano NGN oggi negli obiettivi di Telecom Italia parla di circa 10,4 miliardi di euro da investire tra il 2007 e il 2016: 4,6 miliardi per completare la piattaforma di prima generazione, 5,8 miliardi per quella di seconda generazione con cui 13 milioni di utenze saranno convertite in linee ultrabroadband . Ma Bernabé individua nella lenta crescita della domanda di servizi broad band il motivo della tardiva conquista italiana della banda larga: “Nonostante i livelli di eccellenza raggiunti, a fronte di una copertura di Telecom che, a fine 2007, risultava pari al 94% delle linee (circa 22 milioni), la capacità utilizzata risultava di poco superiore alla metà degli utenti potenziali (circa 10,5 milioni)”.
Gli impegni dichiarati da Telecom riscuotono però una sonora bocciatura da parte dei competitor: BT Italia , Fastweb , Mediaset , Tiscali , Vodafone , Welcome e Wind , insieme ad AIIP che si fa portavoce di tutti i propri associati, concordano nel mostrare pollice verso al piano dell’incumbent.
“Gli impegni non soddisfano nessuna delle tredici misure indicate dalla Autorità e, dunque, essi sono completamente inadeguati a far fronte ai problemi concorrenziali legati alla rete di accesso” osserva AIIP, sottolineando che “la proposta di impegni è assai carente ed incompleta, non riguardando alcuni elementi essenziali della rete di Telecom Italia (es. sono escluse dal suo ambito sia i collegamenti di accesso in fibra ottica sia le strutture attive della rete di accesso) nonché altre prestazioni indispensabili ai suoi concorrenti per fruire di piena equivalence of input e equality of access ed è insuscettibile di dare ad Open Access l’autonomia necessaria ad assicurare una sua gestione imparziale”.
BT ritiene “estremamente preoccupante che, a valle della presentazione degli impegni da parte di Telecom Italia, l’Autorità abbia sospeso le attività regolamentari in corso relative a mercati molto importanti (accesso sia retail che wholesale, dei servizi voce sia business che residenziali, etc.)”, una tregua definita deleteria per il mercato. L’operatore – in coro con Tiscali – chiede “una separazione, ex officio, da parte di Agcom, partendo dal modello inglese Openreach e adattandolo alla situazione del mercato italiano”.
Pessimista il commento di Fastweb, che osserva come Telecom non abbia considerato la fibra ottica nella parte operativa degli impegni, “un grave passo indietro rispetto al dibattito regolamentare aperto nel resto d’Europa”, mentre Vodafone auspica “l’introduzione di misure più incisive” in un mercato impotente di fronte alle “condotte anti-competitive” della principale compagnia telefonica italiana.
Dario Bonacina