Un accordo storico che traghetta la più grande azienda telefonica italiana, un tempo statale, sotto il controllo di un’azienda straniera: Telco, società privata che detiene la quota di controllo di Telecom, ha annunciato una rinegoziazione delle sue percentuali azionarie che attribuirà nel giro di un paio d’anni tutto il capitale alla spagnola telefonica. E di conseguenza consegnerà allo straniero le chiavi di Telecom Italia. Nel complesso l’operazione costerà all’incirca 850 milioni di euro , di cui solo la metà da versare immediatamente.
Telefonica era già nella holding che controlla il 22,4 per cento di Telecom Italia: con un accordo arrivato nella serata di lunedì, gli altri soci Telco (Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo) cederanno gradualmente le proprie quote all’operatore spagnolo, che provvederà inoltre a una ricapitalizzazione della holding diluendo la quota altrui. Entro il 2015 il 100 per cento di Telco potrebbe appartenere a Telefonica, che in questo modo otterrà il controllo indiretto di Telecom. Soddisfatti, stando alle dichiarazioni, i soci di Telco che possono così disimpegnarsi da un investimento problematico visto il livello di indebitamento del gruppo.
Di fatto la consegna di Telecom a Telefonica avviene dopo che l’Italia, nella figura della Cassa Depositi e Prestiti , ha rifiutato l’opportunità di tornare a investire nella compagnia telefonica da cui era uscita nel 1997 con la privatizzazione decisa da Romano Prodi: vista l’intenzione degli azionisti del Belpaese di uscire dal patto di governance, l’amministratore delegato di Telefonica Cesar Alierta ha presentato l’offerta decisiva che gli ha consegnato le chiavi di Telecom. L’uscita dell’Italia da Telco non sarà immediata, ma nel giro di un paio d’anni la presa spagnola dovrebbe farsi implacabile .
A questo punto si presentano al pettine i nodi della questione: Telefonica ha investito in un grande operatore telefonico con una certa mole di debiti e che opera in un mercato che non potrebbe definirsi altrimenti che maturo. Questo significa che i margini per ridurre il debito, sebbene potenzialmente ci siano, non sono certo tali da garantire i profitti auspicabili: occorre valorizzare al massimo l’investimento di Telefonica in Telecom , e questo significherà molto probabilmente la vendita delle partecipazioni sudamericane di Telecom Italia (una delle fette più consistente dei guadagni degli ultimi anni), e senz’altro Telefonica ora vorrà dire la propria relativamente al progettato scorporo della rete fissa di cui da molto tempo si discute . Senza contare che, come paventato da qualcuno , non è da escludersi una possibile ristrutturazione aziendale con conseguenti licenziamenti per far quadrare i conti.
Con appena 800 milioni di euro, Telefonica si è assicurata il controllo di fatto di Telecom grazie al pacchetto del 22 per cento detenuto da Telco: il restante 78 per cento delle azioni, ovvero la maggioranza effettiva dispersa nei rivoli dei piccoli azionisti , non avrà modo di mettere bocca nella direzione e nell’amministrazione dell’operatore. Il complesso gioco delle scatole cinesi delle controllanti e delle controllate, Telco e Telecom, attribuisce a Telefonica un enorme potere sull’operatore italiano: non servirà lanciare un’OPA e rivolgersi al mercato per ottenere il controllo dell’azienda, l’accordo è già stato firmato e concordato in privato tra le mura di Mediobanca e non ci sono particolari estremi per le autorità di controllo per opporsi all’operazione.
Se non si dovrebbe affermare , come polemicamente fa qualcuno, che da oggi Telecom Italia si chiamerà Telecom Spagna poco ci manca: le prospettive per il capitalismo italiano non sono buone, e ci sono parecchie perplessità che filtrano dall’agone politico rispetto alla qualità dell’operazione per gli interessi di Telecom Italia stessa. Di certo non è un fatto positivo che il più grande operatore telefonico italiano passi in mano straniere, dopo che tutti gli altri operatori l’avevano già fatto: Vodafone, Wind, H3G, Fastweb, sono già tutte aziende con proprietari stranieri, e al Belpaese ora non resta neppure più una cartuccia da sparare per sostenere la crescita dell’infrastruttura italiana.
Luca Annunziata