Telefonini: piovono dubbi sul SAR

Telefonini: piovono dubbi sul SAR

Il limite di tolleranza delle emissioni dei telefonini è contestato dalla federazione dei professionisti TCO. Chi ha ragione?
Il limite di tolleranza delle emissioni dei telefonini è contestato dalla federazione dei professionisti TCO. Chi ha ragione?


Roma – Serve il SAR e a chi serve? Viene da chiederselo, dopoché la federazione professionale svedese TCO ha deciso di contestare gli indici legali dello Specific Absorption Rate, SAR appunto. Si tratta di una misurazione che, com’è noto, si riferisce all’impatto sul tessuto biologico delle emissioni dei cellulari. Una misurazione che presto apparirà sulle confezioni di tutti i telefoni cellulari.

Secondo il TCO il tetto massimo SAR pensato dall’Organizzazione mondiale della Sanità è troppo elevato e non tutela a dovere la salute degli utilizzatori, soprattutto di coloro che fanno un largo uso del cellulare. Se l’OMS ritiene che si debbano rispettare 2 watt per chilo nelle emissioni, le misurazioni di TCO parlano di un tetto massimo opportuno di 0,8 watt per chilo.

I problemi però non sono legati esclusivamente alla salute degli utenti. Proprio sul “tasso” di SAR i costruttori contano per spingere verso l’alto il mercato dei cellulari in piena turbolenza da mesi. Sfruttando il SAR, infatti, sarà possibile piazzare telefonini “più sicuri” nelle mani di consumatori spaventati da anni di contese scientifiche sull’effettiva dannosità dei cellulari, più volte smentita da esimi scienziati e altrettante volte riconfermate da loro illustri colleghi…

Secondo Helena Ahlberg, che ha sviluppato il sistema di misurazione adottato da TCO che ha portato alla contestazione, sotto i 2.0 watt si hanno ancora “effetti” sul tessuto biologico ed è per questo necessario ridurre il tetto massimo. Ma i cellulari che stanno arrivando sul mercato o che già ci sono lanciati dai produttori hanno tutti un SAR più basso di 2.0, proprio per motivi di marketing, ma comunque superiore agli 0,8 watt per chilo. Chi ha ragione? Chi vuole davvero tutelare l’utente?

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Pubblicato il
8 nov 2001
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