La notizia è ormai nota: è in dirittura d’arrivo il Decreto del Presidente della Repubblica relativo al Regolamento per l’istituzione e la gestione del registro nel quale i cittadini italiani titolari di un’utenza telefonica dovranno iscriversi se vogliono porre la loro tranquillità al riparo da squilli inattesi ed indesiderati.
Il Ministero dello Sviluppo Economico ha, infatti, ultimato il giro di consultazioni sullo schema di regolamento predisposto, raccogliendo i pareri del Garante per la privacy, dell’Autorità Garante per le Comunicazioni e del Consiglio di Stato.
I pareri – benché contenenti talune richieste di modifiche più o meno rilevanti da apportare allo schema di regolamento – sono tutti favorevoli come, d’altro canto, suggerisce il “protocollo istituzionale” e, dunque, a questo punto sembra inutile continuare a chiedersi se la disciplina del telemarketing che verrà sia o meno quella meglio in grado di contemperare i contrapposti interessi di mercato e consumatori, convenendo piuttosto guardare a domani e chiedersi cosa accadrà.
In questa prospettiva una prima importante indicazione è contenuta nel parere del Garante per la privacy il quale scrive in modo oltremodo chiaro che, a prescindere da quanto accadrà una volta che il registro sarà effettivamente operativo, dal 24 maggio scorso deve, finalmente – l’avverbio è mio anche se credo sia diffusamente condiviso negli uffici del Garante – intendersi venuta a scadere qualsiasi deroga al regime ordinario con la con la conseguenza che i numeri di telefono contenuti negli elenchi telefonici possono essere utilizzati esclusivamente con il consenso espresso degli interessati.
Sin tanto che non si potrà procedere all’iscrizione del proprio numero nell’istituendo registro, pertanto, chiunque voglia provare a vendere qualcosa al telefono dovrà dimostrare di avere ottenuto il consenso al trattamento dei dati dell’abbonato senza potersi far scudo della nuova disciplina né raccontare, semplicemente, di aver estratto il numero telefonico dall’elenco abbonati.
Tutto considerato, quindi, sembra che almeno le vacanze riusciremo a farle tranquilli.
Se il Garante per la Privacy, nel prendere atto della scelta del Parlamento, nel proprio parere si è tolto lo sfizio di ricordare che, in ogni caso, nelle more della messa a regime del registro si cambia musica e si torna all’antico, l’Autorità Garante per le Comunicazioni ed il Consiglio di Stato non sono stati più teneri con tale scelta e l’hanno criticata apertamente ritenendola non condivisibile ed inadeguata alla soluzione del problema.
L’Agcom, in particolare, scrive nel suo parere – con considerazioni assolutamente condivisibili e sulle quali ci si era già soffermati in passato – che a prescindere dall’opportunità dell’opzione operata dal nostro legislatore per il modello opt-out , l’ibridazione di tale modello con quello opt-in (n.d.r. nel senso che i dati degli abbonati potranno comunque continuare ad essere utilizzati in forza di autonomo consenso acquisito dal singolo operatore) rischia di pregiudicare ogni possibilità di raggiungere l’obiettivo perseguito.
Gli aspetti dello schema di Regolamento che lasciano più perplessi sono, tuttavia, altri.
Il primo concerne il soggetto cui verrà affidata la realizzazione e gestione del registro.
Stando al Regolamento potrà trattarsi di un soggetto terzo rispetto al Ministero dello Sviluppo Economico cui quest’ultimo affiderà in concessione tale servizio. Sin qui nessuna perplessità: è ormai diffusa nel nostro Paese la tendenza ad affidare il trattamento di dati personali dei cittadini a soggetti privati: lo ha fatto, da ultimo, il Ministro Brunetta il quale ha “obbligato” Poste a realizzare e gestire quella che di fatto costituisce la prima anagrafe digitale italiana e che contiene tutti gli indirizzi di CEC PAC che la pubblica amministrazione dovrà utilizzare per comunicare con i privati.
Il punto è, tuttavia, un altro: il regolamento, all’art. 6, stabilisce infatti che il gestore dovrà provvedere alla tenuta del registro “a prezzo di costo” ovvero senza pretendere dagli operatori alcun “sovraprezzo” giustificato dalla finalità di perseguire un proprio profitto. Si stabilisce, infatti, all’art. 6 che “i proventi delle tariffe d’accesso al registro costituiscono esclusivamente risorse per la gestione dello stesso e non possono essere aumentate per scopi di lucro da parte del gestore”.
Il dubbio credo sorga spontaneo: per quale ragione diversa dal profitto economico un soggetto privato dovrebbe farsi carico della gestione di un’attività tanto onerosa in termini organizzativi, economici e di assunzione di responsabilità da essere svolta negli Stati Uniti da due giganti dell’apparato governativo come la Federal Trade Commition e la Federal communication Commission?
Francamente – ma è possibile che mi sfugga qualche passaggio chiaro, invece, agli estensori del Regolamento – l’unica risposta che riesco a darmi è che la convenienza del gestore derivi dal proprio coinvolgimento – diretto o indiretto – nell’attività di telemarketing. Se così fosse e se, quindi, si ipotizzasse di affidare la gestione del registro ad un soggetto portatore di un autonomo interesse a che, in Italia, si faccia quanto più telemarketing possibile, si tratterebbe di un approccio gravissimo che porrebbe il gestore del registro in una condizione di costante sospetto di non imparzialità, evidentemente incompatibile con il ruolo che è chiamato a svolgere.
In ogni eventuale controversia tra operatori e abbonati, peraltro, questi ultimi sarebbero chiamati a provare la bontà della propria posizione attraverso l’indispensabile supporto proprio del gestore ovvero di un soggetto, in ipotesi, dipendente in termini economici, organici o societari dall’operatore o da consorzi e/o federazioni ad esso riconducibili.
Questo aspetto – ovvero quello delle modalità attraverso le quali l’abbonato potrà provare di aver richiesto la propria iscrizione nel registro – è l’altro profilo assai poco convincente dell’attuale schema di regolamento. Perplessità al riguardo sono state, peraltro, sollevate in modo in equivoco nel Parere dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni. È indispensabile che il gestore del registro rilasci all’abbonato che chiede l’inserimento del proprio numero nel registro medesimo una dichiarazione utilizzabile dall’abbonato per provare – al di là di ogni ragionevole dubbio – di aver effettivamente manifestato in una certa data la propria volontà di non essere disturbato. Si tratta di una dichiarazione che andrà rilasciata in forma scritta e sottoscritta da parte del gestore del registro o, ove possibile – ove cioè si disponga di un indirizzo di posta dell’abbonato – attraverso un documento informatico “firmato” digitalmente dal gestore del registro.
Se non si forniscono all’abbonato tali strumenti probatori, l’intero impianto del registro negativo rischia di risultare del tutto inutile, specie nella malaugurata ipotesi nella quale il gestore dovesse essere un soggetto che assume tale responsabilità nell’interesse – in senso più o meno lato – degli operatori.
Non resta dunque che goderci le ultime “silenziose” vacanze e vigilare perché al Ministero seguano le preziose indicazioni contenute nei pareri e, soprattutto, rifuggano dalla facile tentazione di porre il gestore del registro in una condizione di sospetto costante – almeno presunto – di conflitto di interessi.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it