A più di due mesi dall’esordio del registro delle opposizioni si possono trarre le prime conclusioni, che dividono tuttavia ancora gli osservatori: mentre la Commissione Europea decide di ritirare il procedimento aperto contro l’Italia per il telemarketing selvaggio, le associazioni dei consumatori dicono che la tutela si è al contrario allentata.
Nonostante un avvio a singhiozzo, dal 31 gennaio è attivo il sito che è fulcro del sistema di opt-out attraverso cui il cittadino può richiedere di non essere contattato a fini di telemarketing.
La riorganizzazione del sistema, secondo l’UE, garantirebbe agli abbonati italiani ai servizi telefonici maggiore tutela rispetto alle telefonate indesiderate da parte di operatori di telemarketing. E per questo la Commissione Europea ha chiuso la procedura di infrazione aperta nel 2010 nei confronti dell’Italia.
Bruxelles si è ritenuta soddisfatta dal fatto che “l’Italia si sia allineata alle disposizioni della direttiva UE sulla privacy e sulle comunicazioni elettroniche”.
Asstel ha accolto con soddisfazione il giudizio europeo che di fatto abbraccia la sua visione: “Conferma che il sistema offre oggettivamente le maggiori tutele per l’utente”. Infatti, spiega il Presidente Stefano Parisi, “si tratta di una formula molto più chiara ed efficace che rende l’utente più consapevole, mentre scongiura la possibilità che si venga inseriti a propria insaputa in banche dati a cui accedono le società di telemarketing, così come avveniva prima con il sistema dell’esplicito consenso. Ora ci auguriamo che anche coloro che hanno contestato il nuovo regime prendano atto della decisione della Commissione, mettendo fine a polemiche non costruttive”.
Di diverso avviso i consumatori, i quali ritengono che ciò non avrebbe arginato il telemarketing selvaggio, ma che al contrario la tutela degli utenti telefonici “è nettamente peggiorata”. Per questo Federconsumatori e Adusbef affermano che “la Commissione Europea ha preso un abbaglio grande quanto una casa”.
Le due associazioni di consumatori puntano il dito innanzitutto contro il passaggio da un sistema opt-in, un regime in cui potevano essere contattati solo i numeri per cui l’utente aveva dato il consenso (spesso a sua insaputa a causa di clausole e dépliant vari), ad uno opt-out, come richiesto proprio dall’Europa con la cosiddetta Robinson List , in cui tale consenso può ritenersi presunto, salvo che l’abbonato non abbia provveduto a iscrivere il proprio numero nel registro negativo gestito dalla Fondazione Ugo Bordoni.
Inoltre riferiscono che tutto il sistema è “farraginoso” e che gli utenti sarebbero stati disinformati circa la possibilità di iscriversi a tale registro tramite “uno spot vergognoso, tutto a favore delle molestie del telemarketing”: in esso non si viene informati su come iscriversi, ma con lo slogan Uomo registrato un po’ meno informato “si tenta quasi di convincerli che, in fondo, il telemarketing non è poi così male e potrebbe anche essere utilissimo “.
I limiti della riforma apparivano evidenti fin da subito agli osservatori: innanzitutto non cambiava il fatto che, avendo dato in precedenza il proprio consenso in qualsiasi modo, pur essendo iscritti al registro delle opposizioni, un utente poteva essere ancora contattato a meno di ulteriore rettifica.
Inoltre restavano fuori i numeri non presenti negli elenchi telefonici o alcuni di quelli di esercizi commerciali non ricompresi nell’elenco gestito dalla Fondazione Ugo Bordoni.
Gli operatori di telecomunicazioni si sono dotati, peraltro, di un Codice di autoregolamentazione che va oltre quanto stabilito dalla riforma e che si estende a tutta la filiera delle telecomunicazioni.
Claudio Tamburrino