Il P2P non deve turbare la quiete dei dormitori degli studenti, i giovani dovranno nutrirsi di soli contenuti ottenuti con l’avallo dell’industria: il Tennessee ha approvato una legge che impone alle università di installare tutto il necessario per scongiurare il traffico di contenuti intessuto fra gli studenti e i netizen che vivono fuori dalle istituzioni universitarie.
Lo stato del Tennessee è arrivato là dove non sono arrivate le leggi federali : se gli States hanno approvato una riforma del sistema universitario che esclude la possibilità di concedere finanziamenti in cambio dell’installazione di filtri e dell’obbligo a imboccare i ragazzi con soluzioni certificate dall’industria, lo stato del Tennessee ha accolto le richieste dell’industria dei contenuti. Ogni istituzione universitaria, pubblica o privata che sia, dovrà “tentare in maniera ragionevole di prevenire le violazioni del materiale protetto da copyright mediate dalle sue macchine o dalle sue reti”.
Il provvedimento servirà a correggere i comportamenti di istituzione scapestrate e di studenti dediti al file sharing illecito: le università che abbiano ricevuto 50 o più denunce di avvenuta violazione dovranno conciliare e mettere in atto le azioni di contrasto . Si concretizzeranno in tecnologie e strumenti di filtering e di monitoraggio, si concretizzeranno per lo stato in una spesa di 9,5 milioni di dollari nel primo anno di impiego e di 1,5 milioni di dollari per ciascun anno successivo. Serviranno a fornire hardware, software e personale capace di gestire i sistemi anti-P2P.
Se il governatore Bredesen, che ha apposto il sigillo alla legge, si dice orgoglioso dell’azione che il Tennessee ha messo in campo per prevenire un “download illegale che ha un impatto profondamente negativo sull’industria della musica”, la RIAA plaude ai legislatori di uno stato “in cui l’impatto del furto di musica nei campus universitari è più sentito che altrove”. Se nel 2007, ricorda la RIAA, metà degli studenti degli States hanno ammesso di scaricare illegalmente musica e film, l’Università del Tennessee si è piazzata quarta nell’elenco delle università più impegnate nel file sharing.
Nel modello descritto dalla legge è contemplato il solo proibizionismo nei confronti degli studenti: a differenza di quanto avrebbe dovuto prevedere la legge federale, nel Tennessee non si proporranno ai ragazzi alternative legali, non si incoraggeranno i giovani a ricompensare gli artisti . Semplicemente, osserva EFF, si riverserà del denaro pubblico in un sistema che non potrà funzionare : esiste il modo di ingannare i filtri , esiste il modo di attingere alle risorse condivise in rete senza dover passare dal P2P , non esiste solo la rete scolastica per accedere a Internet. Perché non investire questi milioni di dollari stipulando, ad esempio, dei contratti di licenza?
Resta da capire come reagiranno le università: se negli States ci sono istituti che hanno abbracciato spontaneamente dei sistemi per arginare la fame di contenuti degli studenti, le università del Tennessee si sono opposte in passato alla prospettiva di vincolare i propri studenti a servizi suggeriti dall’industria.
L’opera di educazione e repressione dell’industria dei contenuti non sembra destinata ad estinguersi con l’entrata in vigore di una legge. Se la strategia basata su denunce e patteggiamenti operata dalla RIAA resta efficace , non tutte le università si dimostrano pronte a collaborare: la Duke University, così come altri atenei statunitensi , ha annunciato che non agirà più da intermediaria tra studenti e industria. I rappresentanti dei detentori dei diritti dovranno fornire le prove , dovranno dimostrare che si siano verificate una violazione e un’effettiva disseminazione di file : solo in questo caso l’ateneo inoltrerà allo studente la comunicazione con cui l’industria lo invita a patteggiare. La Duke University lo scorso anno ha ricevuto mille segnalazioni di violazione in cui era coinvolto un indirizzo IP del campus: dai prossimi mesi l’industria avrà bisogno di rivolgersi al tribunale per ottenere che la Duke University riveli il nome che corrisponde all’indirizzo IP. La garanzia che la Duke University offre ai suoi studenti probabilmente non cambierà l’atteggiamento dell’industria: rivolgendosi ad un giudice per ottenere un mandato che costringa l’Università a rivelare i dati dello studente, RIAA o chi per essa potrà portare a testimonianza della violazione il fatto che l’indirizzo IP in questione metteva a disposizione dei file condivisi sull’hard disk. Ma fra i giudici statunitensi sta progressivamente attecchendo la convinzione che mettere a disposizione non equivalga a distribuire .
Gaia Bottà