Il governo thailandese, nelle parole del ministro responsabile Thongchai Sangrisi, ha ammesso che le misure restrittive adottate che prevedevano la stesura di una lista di siti non raggiungibili all’interno del paese, non funziona: troppo lunga, diventa un peso per gli Internet Service Provider . E quindi non funziona.
In almeno due modi il sistema sarebbe fallato : perché rallenta la generale efficienza della rete per i numerosi filtri necessari e perché, in ogni caso non può essere onnicomprensiva.
Oltretutto queste liste hanno causato inconvenienti e incomprensioni notevoli nel paese: il sito di Freeedom Against Censorship Tahiland , per esempio, è stato oscurato pur non ospitando alcun materiale illegale, per più di sei mesi.
Meglio sarebbe, dice insomma il Ministro thailandese, che il controllo fosse lasciato interamente interamente ai genitori.
Tuttavia, per un verso almeno, le liste nere funzionano: dal punto di vista politico, spiega Sangrisi, perché i cittadini sono spinti a pensare che il loro Governo stia facendo qualcosa . E quindi l’immagine pubblica se ne può giovare.
Eppure (o proprio per questo) anche in altri paesi l’idea è balenata nelle menti dei governanti: negli Stati Uniti il Senato è al momento alle prese con il dibattito su una misura analoga di blacklist, la Francia con LOPPSI ne avrebbe disegnata una meno estensiva e la Nuova Zelanda starebbe già sperimentando da tempo, così come l’ Australia .
Claudio Tamburrino