Bangkok – Il cappio dittatoriale intorno alla rete tailandese si allenta almeno un poco: secondo quanto comunicato dall’agenzia di stampa Reuters , la giunta militare che ha preso il potere nel settembre del 2006 abrogando la Costituzione, sciogliendo il parlamento e la Corte Costituzionale, ha optato per revocare il “diritto di censura” previsto contro i siti web che attentassero alla monarchia costituzionale che, almeno sulla carta, rappresenta ancora la forma predefinita dello stato asiatico.
A farlo sapere è il Ministro della Comunicazione Sitthichai Pookaiyaudom, già accusato dall’organizzazione non governativa Freedom Against Censorship Thailand (FACT) di aver oscurato decine di migliaia di siti di concerto con i militari al potere.
“Sono stanco delle accuse di queste ONG che l’ordine fosse di natura dittatoriale” ha dichiarato sprezzante il ministro, confermando come la nuova regolamentazione approvata preveda l’autorizzazione da parte di un giudice per il sequestro o l’oscuramento dei portali web.
Pookaiyaudom risponde alle accuse, affermando come la chiusura di circa 200 siti da lui ordinata interessasse soltanto due gruppi di supporter dell’estromesso primo ministro Thaksin Shinawatra , oltre alla necessità di buttare giù anche i diversi mirror che facevano capo agli oppositori dell’attuale status quo. “Molti dei siti erano pornografici”, si giustifica poi il ministro.
Un caso recente di censura nel paese ha riguardato YouTube e la distribuzione sul portale di video condivisione di una clip offensiva nei confronti del re Bhumibol Adulyadej, venerato come un semidio nel paese. Il blocco aveva infine spinto Google ad eliminare lo spezzone incriminato , nel pieno rispetto della politica accomodante di BigG nei confronti dei governi locali indipendentemente dalla loro legittimità o vocazione alla censura.
Alfonso Maruccia