New York – Tiffany & Co. muove guerra contro il commercio di falsi su eBay . Il “posto più bello del mondo, dove non ti può accadere niente di male”, così Audrey Hepburn descrive la gioielleria in una celebre commedia brillante, gioielleria che ha trascinato la società di aste telematiche davanti al giudice distrettuale di Manhattan accusandola di favoreggiamento alla vendita di falsi . Oggetti preziosi marchiati Tiffany solo perché ne hanno usurpato il nome.
Piuttosto che essere un semplice intermediario, un gestore di un ambiente di compravendita accessibile al pubblico – accusano i legali di Tiffany – eBay in questi anni ha fatto molto di più: il portale ha agito né più né meno come un network di distribuzione, agevolando il commercio di imitazioni e gioielli falsi che si rifanno al noto marchio.
La vicenda si configura come uno dei casi più spinosi che eBay si sia mai trovata a dover affrontare . L’istituzione dell’e-commerce in rete, che attualmente conta 248 milioni di utenti registrati e 102 milioni di aste attive in contemporanea, vede messa in discussione la propria posizione di “neutralità” rispetto alle compravendite, da sempre tratto distintivo del modello di business che ne ha decretato il successo.
Tiffany vorrebbe far saltare la patina di questa neutralità, ed ha per questo chiesto al giudice Richard Sullivan – che non si pronuncerà prima del prossimo 7 dicembre – di imporre a eBay la modifica delle proprie regole interne , in modo da individuare ed eliminare preventivamente i gioielli falsi spacciati per veri.
Ovviamente eBay non ci sta: “Come luogo di compravendita – ha dichiarato il portavoce Hani Durzy – noi non entriamo mai in possesso di nessuna delle cose vendute sul sito, e quindi sarebbe impossibile per noi determinare l’autenticità di un oggetto”. Ciò detto, Durzy ribadisce che la sua società è attivamente impegnata a prevenire il commercio di prodotti contraffatti , andando “ben al di là di quello che richiede la legge per tenere i falsi lontani dal sito”.
James B. Swire, legale rappresentante di Tiffany, è al contrario convinto che questa volta eBay non se la potrà cavare così a buon mercato: i gioielli “Tiffany” vengono pubblicizzati sulla homepage del sito e eBay guadagna da questo traffico illegale.
Bruce Rich, avvocato di eBay, ribatte sostenendo che la società ha rispettato in pieno gli obblighi previsti dalla legge per il contrasto al commercio di beni contraffatti, ed è responsabilità prima di tutto di Tiffany – vista la competenza specifica in materia – individuare i falsari. Secondo Geoffrey Potter – presidente della società legale di New York Kramer Levin Naftalis & Frankel – la difficoltà che eBay ha nel controllare gli oggetti messi all’asta non è una scusa sufficiente: “La verità è che se eBay volesse tenere lontani dal proprio sito i gioielli contraffatti di Tiffany – sostiene l’avvocato – probabilmente potrebbe”, citando ad esempio la messa al bando di aste riguardanti pornografia infantile, organi umani e armi da fuoco.
La questione insomma si presenta tutt’altro che decisa. A complicare ulteriormente le cose sono i precedenti, come quello citato nel corso del dibattimento dal giudice Sullivan: stabilisce la responsabilità effettiva di un venditore implicato nella distribuzione di oggetti falsi, qualora sia consapevole di essere coinvolto nell’infrazione di un marchio registrato. Un precedente scivoloso che potrà provocare esiti inattesi della causa.
Alfonso Maruccia