Le tecnologie legate al concetto di Web3 stanno suscitando interesse negli addetti ai lavoro e non solo. L’idea di una rete globale decentralizzata porta con sé indubbie possibilità. Alle promesse fin qui formulate devono e dovranno però necessariamente seguire innovazioni concrete e tangibili. Sul tema si è pronunciato oggi Tim Berners-Lee, intervenuto alla TNW Conference.
Non uno qualunque, ma colui che cambiò il mondo scrivendo WWW. Riconosciuto universalmente come il padre del Web, alla domanda in merito alla fiducia riposta nelle potenzialità del Web3 per evitare un’eccessiva centralizzazione del mondo online ha risposto in modo tanto sintetico quanto esplicativo: No
. Anzi, Nope
. La sua visione non si allinea a quella di chi promuove questa nuova iterazione del World Wide Web.
Il “no” di Tim Berners-Lee alle promesse del Web3
Eppure, quando nell’ottobre 2018 ha presentato il progetto Solid, ha fatto più di un riferimento esplicito a una Internet decentralizzata. Un ecosistema connesso e interconnesso, in cui gli utenti si riappropriano della gestione dei dati che li riguardano. Si eviterebbe così un eccessivo accentramento delle informazioni nelle mani di pochi grandi player. L’iniziativa è poi evoluta nel 2020 con un lancio legato alla startup Inrupt e destinato all’ambito enterprise.
A un certo punto, abbiamo anche parlato di Web 3.0, poiché Web 2.0 è stato un termine impiegato per descrivere la disfunzione che si verifica con i contenuti generati dagli utenti sulle grandi piattaforme. Le persone hanno chiamato il fenomeno Web 2.0, dunque se oggi volete definire questo Web 3.0 è ok.
Ciò che spinge Berners-Lee a prendere le distanze dal concetto più comune di Web3 non è né il termine in sé, né la finalità perseguita, bensì la scelta degli strumenti impiegati. Guarda con sospetto alle blockchain, preferendo far leva su standard, tool e specifiche aperte. In breve, secondo la mission di Solid, le informazioni sono salvate all’interno di unità chiamate Pods, ospitate ovunque l’utente desideri e pensate in modo da favorire interoperabilità, prestazioni e scalabilità.
Quando provi a replicare questo modello sulla blockchain, semplicemente non funziona.
Facciamo un esempio concreto per meglio comprenderne il funzionamento. Volendo condividere un’immagine con gli amici di Facebook, i colleghi di LinkedIn e i follower su Flickr, non ci sarebbe bisogno di caricarla su ognuno dei tre servizi, accettando di conseguenza le policy di ognuno e le differenti modalità di trattamento dei dati.
La visione di Tim Berners-Lee, pur tra le più autorevoli, è pur sempre una visione. E in quanto tale, a sua volta oggetto di dissensi e critiche legittime, da parte di chi ripone la propria fiducia in altri mezzi e in altri strumenti.