Tim Cook in una recente intervista televisiva della NBC News ha fornito il suo punto di vista sul ruolo dei social network nella nostra società . Un punto di osservazione che considera per forza di cose il cattivo utilizzo degli stessi sfruttati con finalità politiche (il caso Russiagate è ancora aperto). Per Cook l’uso indebito di pubblicità sulle piattaforme social da parte dei governi è però un aspetto marginale di una situazione ben più grande : “Non credo che il problema più grande siano le pubblicità dei governi stranieri. Credo che ciò valga lo 0,1 per cento della questione” – ha dichiarato , ponendo l’accento piuttosto su come canali nati per unire, stiano in realtà creando divisione .
“Il problema più grande è che alcuni di questi strumenti sono usati per dividere le persone, manipolarle, distribuire notizie false e in questo modo influenzare il loro pensiero. Questa per me è la questione numero uno” – così riassume la sua visione Cook, che riconosce che il problema non è della piattaforma in sé quanto piuttosto l’utilizzo che se ne fa .
Di fronte a continue minacce di intromissione e furto di dati, le grandi aziende devono riuscire a guadagnarsi la credibilità degli utenti con garanzie reali . Facebook ha tratto grandi insegnamenti dall’accaduto. Si è infatti dotata di sistemi di moderazione e valutazione delle pubblicità più avanzati di quanto non facesse in precedenza, ha rafforzato il team di controllo e si è assunta indirettamente la responsabilità di garantire elezioni politiche trasparenti . Ma naturalmente Facebook non è l’unica coinvolta nel caso. Google, e in particolare Youtube, sarebbe stato un’altro importante strumento di veicolazione dei messaggi propagandistici (per dare una misura del danno, su Facebook sarebbero stati “esposti” 126 milioni di utenti ).
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– NBC Nightly News (@NBCNightlyNews) 1 novembre 2017
Le azioni correttive intraprese sono state condotte per evitare che in futuro possano accadere altri inciampi simili. Ma aziende di questo calibro non possono più accontentarsi di imparare dagli errori. È indispensabile che adottino tutte le azioni possibili per prevenire i problemi, prima della loro manifestazione . È l’azione autonoma e concreta ad essere premiata. Cook ricorda come Apple abbia deciso lo scorso anno di farsi paladina della privacy , rifiutandosi di sbloccare un iPhone usato da un tiratore della strage di San Bernardino. Secondo Apple, i federali avrebbero minato con la loro richiesta la privacy di milioni di persone e per questo non hanno assecondato la richiesta.
Facebook ha scelto di intraprendere una strada differente. Ha condiviso le informazioni in suo possesso con il Congresso al fine di recuperare informazioni sui mandanti dei messaggi politici incriminati. Lo ha fatto per collaborare, ma agli occhi di molti osservatori si è trattato di una cessione indebita di dati degli utenti d’innanzi alle pressioni dei governi . Modi di agire diversi che dimostrano come manchi ancora una linea d’azione regolamentata o comunque congrua.
A prescindere dal caso specifico, Cook ne è sicuro. Le grandi del tech “hanno ormai capito la strada”. E soprattutto hanno compreso che non è più tempo di prendere sotto gamba la protezione dei dati degli utenti e l’annoso tema del loro trattamento. A chi chiede rassicurazioni circa il sistema di sblocco del nuovo iPhone X, basato su FaceID , Cook conferma l’utilizzo della crittografia end-to-end e che i dati del riconoscimento facciale non risiedono in Apple, quanto invece nel dispositivo stesso. Che Apple voglia fare scuola di fronte ai concorrenti?
La trasparenza di Apple sul trattamento dei dati, sembra però dover fare i conti con accuse di evasione fiscale e ricorso ai paradisi fiscali . Una pratica effettivamente legale e attuata dalle grandi aziende, che potrebbe andare incontro ad una svolta con la nuova riforma fiscale statunitense. Una riforma che secondo lo stesso Cook è in forte ritardo.
Mirko Zago