Con un annuncio clamoroso, ieri Tiscali ha fatto sapere di aver posto fine ad uno dei servizi musicali più interessanti disponibili online. Il motivo? Le richieste delle società discografiche, accusate dall’operatore pan-europeo di non vedere al di là del proprio naso e, in definitiva, di chiedere troppo, arrivando persino a sacrificare un business lucroso e già avviato anche al di là dell’Atlantico.
La chiusura di Tiscali Juke Box rappresenta una inedita battuta d’arresto nella moltiplicazione dei servizi legali di distribuzione su cui le major hanno puntato in questi anni per offrire un’alternativa possibile al dilagante fenomeno del peer-to-peer illegale.
Che la radioweb di Tiscali fosse innovativa è fuor di dubbio, soprattutto perché sfruttava l’osannata piattaforma P2P Mercora , che ha consentito di dar vita ad un servizio di streaming musicale associato alla vendita dei singoli brani di interesse. In circolazione milioni di brani selezionati per autore, genere o tramite playlist di altri utenti. Ed è, a quanto pare, proprio l’ interattività offerta agli utenti ad aver allontanato Tiscali dai propri partner discografici, le cui licenze sono indispensabili per poter fornire il servizio.
Secondo Mario Mariani, responsabile dei servizi Tiscali che ha firmato una lettera aperta all’industria discografia europea, la piattaforma è stata giudicata dalle major “troppo interattiva” per il solo fatto – spiega – “che permette agli utenti di Internet (mezzo interattivo per antonomasia) di effettuare ricerche per autore , oltre che per genere”.
La questione non è peregrina: i diritti musicali online si differenziano in due grandi categorie: diritti non interattivi , che possono essere negoziati con le società di raccolta (come la SIAE, per intenderci), e diritti interattivi , che devono invece essere negoziati con le singole case di produzione. Sono i primi ad aver causato il patatrac .
Tiscali disponeva infatti di quello che definisce “accordo sperimentale” dalla durata di un anno basato su una gestione di diritti non interattivi, ma ora le case discografiche, spiega il provider nella lettera, hanno chiesto all’azienda di cancellare la modalità di ricerca per artista . Come unica alternativa c’è la richiesta di negoziare con i singoli produttori i diritti “ritenuti interattivi”.
Nella lettera Tiscali ricorda come il servizio messo in piedi soltanto poche settimane fa, e che già aveva fatto crescere del 30 per cento le vendite di brani musicali sullo store online del provider, era stato realizzato lavorando assieme ai discografici. E accusa questi ultimi di miopia : le major a detta dell’azienda non fanno “alcuno sforzo per comprendere le basilari necessità di chi fruisce di musica tramite Internet”. L’eliminazione del search nel servizio rappresenta un problema enorme per l’utente interessato ad esplorare la musica disponibile. A Tiscali tutto questo risulta doppiamente incomprensibile se si considera, come sottolinea la lettera, che il servizio di streaming è studiato per riconoscere e pagare i diritti per ogni canzone ascoltata , e tutelare così i diritti di autori e produttori. La sorpresa manifestata dal provider aumenta ulteriormente “se si considera – scrive Mariani – che lo stesso servizio, ancora più completo e con tutte le funzioni oggi qui contestate, viene offerto da Mercora negli Stati Uniti ed in Canada dove è ritenuto perfettamente legale”.
In verità, come fonti dell’industria segnalano a Punto Informatico, Tiscali potrebbe aggirare il problema andando appunto a negoziare i “diritti interattivi” con le singole case. Ma si tratta di un procedura lunga, farraginosa , suscettibile di ridurre e contenere il catalogo dei pezzi disponibili, di incidere sui prezzi finali e, in definitiva, di abbassare la capacità competitiva del servizio di distribuzione, che deve comunque vedersela con jukebox di primo piano attivi in tutto il mondo, come Apple iTunes .
“È di fronte a questa totale mancanza di lungimiranza – sottolinea quindi il provider – che Tiscali, pur avendo lavorato al meglio nella messa a punto del servizio, e in totale trasparenza e collaborazione con l’industria discografica, si vede oggi costretta a interromperlo”.
L’allarme lanciato da Tiscali nella lettera è chiarissimo: a detta dell’azienda il problema delle licenze e l”‘atteggiamento conservativo” assunto dall’industria “rende difficile qualsiasi collaborazione volta a commercializzare efficacemente qualsiasi servizio legale innovativo”.
“È purtroppo l’ennesima dimostrazione – conclude Mariani – della completa chiusura ad ogni ipotesi di utilizzo legale della musica in rete su sistemi aperti, a tutto vantaggio del proliferare dei servizi di pirateria musicale”.
Va detto, in conclusione, che non è la prima volta che Tiscali si trova ai ferri corti con l’industria discografica. Era già accaduto nel 2002, quando strinse un’intesa con Kazaa , ricevendo per questo una sonora bacchettata da parte delle major.iscali alle major: volete troppo –> Roma – Con un annuncio clamoroso, ieri Tiscali ha fatto sapere di aver posto fine ad uno dei servizi musicali più interessanti disponibili online. Il motivo? Le richieste delle società discografiche, accusate dall’operatore pan-europeo di non vedere al di là del proprio naso e, in definitiva, di chiedere troppo, arrivando persino a sacrificare un business lucroso e già avviato anche al di là dell’Atlantico.
La chiusura di Tiscali Juke Box rappresenta una inedita battuta d’arresto nella moltiplicazione dei servizi legali di distribuzione su cui le major hanno puntato in questi anni per offrire un’alternativa possibile al dilagante fenomeno del peer-to-peer illegale.
Che la radioweb di Tiscali fosse innovativa è fuor di dubbio, soprattutto perché sfruttava l’osannata piattaforma P2P Mercora , che ha consentito di dar vita ad un servizio di streaming musicale associato alla vendita dei singoli brani di interesse. In circolazione milioni di brani selezionati per autore, genere o tramite playlist di altri utenti. Ed è, a quanto pare, proprio l’ interattività offerta agli utenti ad aver allontanato Tiscali dai propri partner discografici, le cui licenze sono indispensabili per poter fornire il servizio.
Secondo Mario Mariani, responsabile dei servizi Tiscali che ha firmato una lettera aperta all’industria discografia europea, la piattaforma è stata giudicata dalle major “troppo interattiva” per il solo fatto – spiega – “che permette agli utenti di Internet (mezzo interattivo per antonomasia) di effettuare ricerche per autore , oltre che per genere”.
La questione non è peregrina: i diritti musicali online si differenziano in due grandi categorie: diritti non interattivi , che possono essere negoziati con le società di raccolta (come la SIAE, per intenderci), e diritti interattivi , che devono invece essere negoziati con le singole case di produzione. Sono i primi ad aver causato il patatrac .
Tiscali disponeva infatti di quello che definisce “accordo sperimentale” dalla durata di un anno basato su una gestione di diritti non interattivi, ma ora le case discografiche, spiega il provider nella lettera, hanno chiesto all’azienda di cancellare la modalità di ricerca per artista . Come unica alternativa c’è la richiesta di negoziare con i singoli produttori i diritti “ritenuti interattivi”.
Nella lettera Tiscali ricorda come il servizio messo in piedi soltanto poche settimane fa, e che già aveva fatto crescere del 30 per cento le vendite di brani musicali sullo store online del provider, era stato realizzato lavorando assieme ai discografici. E accusa questi ultimi di miopia : le major a detta dell’azienda non fanno “alcuno sforzo per comprendere le basilari necessità di chi fruisce di musica tramite Internet”. L’eliminazione del search nel servizio rappresenta un problema enorme per l’utente interessato ad esplorare la musica disponibile. A Tiscali tutto questo risulta doppiamente incomprensibile se si considera, come sottolinea la lettera, che il servizio di streaming è studiato per riconoscere e pagare i diritti per ogni canzone ascoltata , e tutelare così i diritti di autori e produttori. La sorpresa manifestata dal provider aumenta ulteriormente “se si considera – scrive Mariani – che lo stesso servizio, ancora più completo e con tutte le funzioni oggi qui contestate, viene offerto da Mercora negli Stati Uniti ed in Canada dove è ritenuto perfettamente legale”.
In verità, come fonti dell’industria segnalano a Punto Informatico, Tiscali potrebbe aggirare il problema andando appunto a negoziare i “diritti interattivi” con le singole case. Ma si tratta di un procedura lunga, farraginosa , suscettibile di ridurre e contenere il catalogo dei pezzi disponibili, di incidere sui prezzi finali e, in definitiva, di abbassare la capacità competitiva del servizio di distribuzione, che deve comunque vedersela con jukebox di primo piano attivi in tutto il mondo, come Apple iTunes.
“È di fronte a questa totale mancanza di lungimiranza – sottolinea quindi il provider – che Tiscali, pur avendo lavorato al meglio nella messa a punto del servizio, e in totale trasparenza e collaborazione con l’industria discografica, si vede oggi costretta a interromperlo”.
L’allarme lanciato da Tiscali nella lettera è chiarissimo: a detta dell’azienda il problema delle licenze e l”‘atteggiamento conservativo” assunto dall’industria “rende difficile qualsiasi collaborazione volta a commercializzare efficacemente qualsiasi servizio legale innovativo”.
“È purtroppo l’ennesima dimostrazione – conclude Mariani – della completa chiusura ad ogni ipotesi di utilizzo legale della musica in rete su sistemi aperti, a tutto vantaggio del proliferare dei servizi di pirateria musicale”.
Va detto, in conclusione, che non è la prima volta che Tiscali si trova ai ferri corti con l’industria discografica. Era già accaduto nel 2002, quando strinse un’intesa con Kazaa, ricevendo per questo una sonora bacchettata da parte delle major.<!–P2 fine-