Bruxelles – Un fatto considerato da qualcuno grave ed inquietante è accaduto nei giorni scorsi in Belgio. Un tribunale locale ha infatti affermato che i provider possono essere responsabili dei comportamenti in Internet dei propri utenti e devono quindi diventare “poliziotti della rete”.
E’ questo infatti il senso di una ingiunzione con cui i giudici hanno imposto a Tiscali, che opera anche in molti altri paesi europei, di sganciare dalla rete i propri utenti qualora questi si macchino di violazioni del copyright. Non solo, il provider dovrà bloccare a tutti i propri utenti l’accesso a siti che offrono programmi di condivisione peer-to-peer .
La corte ha agito sulla base di una denuncia della SABAM , l’equivalente belga dell’italiana SIAE , secondo cui è possibile che il software P2P sia utilizzato in modo legittimo ma più spesso viene utilizzato in modo illegale. A suo dire, Tiscali non solo sapeva degli abusi degli utenti ma avrebbe persino tratto profitto dalle violazioni , che hanno portato ad aumentare la propria base-utenti dopo l’affermarsi dei sistemi di file sharing.
Le critiche di SABAM, secondo cui esiste una correlazione tra le attività di sharing e l’aumento dell’utenza Internet, non sembra tenere conto della spinta propulsiva data alla banda larga in Belgio, come in tutta Europa, né dell’interesse crescente della popolazione per Internet, rete su cui corre un numero sempre più imponente di servizi, anche pubblici. Ma ancora più delicate, come ben sottolineano quelli di EDRI-Gram , sembrano le affermazioni del tribunale.
Nell’assegnare a Tiscali una responsabilità oggettiva per i comportamenti degli utenti, il tribunale ha di fatto cancellato una giurisprudenza ormai affermatasi in Europa, e non solo, sulla sostanziale “neutralità” dei provider rispetto ai comportamenti degli utenti . Una visione peraltro già affermata chiaramente persino nella direttiva europea sul commercio elettronico (2000/31/EC).
Non solo, assegnando al provider il ruolo di “poliziotti della rete” si corrono molti rischi, primo tra i quali quello di costringere gli ISP a negare in via preventiva l’accesso ad una quantità di servizi, siti e informazioni disponibili in rete, con oneri aggiuntivi per i provider e, naturalmente, fuga degli utenti. Si tratta di una sorta di “guerra preventiva” dalle conseguenze potenzialmente gravissime in termini di libertà e di mercato e che proprio per questo, negli anni, è stata più volte sconfessata da sentenze in diversi paesi europei, normative nazionali e direttive comunitarie. Più volte, come accadde anche con la prima versione del famigerato decreto Urbani, anche in Italia si è tentato di trasformare gli ISP in cybercop .
SABAM ha potuto spingere la propria denuncia ( qui in formato.doc e in inglese) grazie alla considerazione 59 della Direttiva europea sul copyright (2001/29/EC) secondo cui, poiché gli ISP sono nella migliore posizione per bloccare le attività illegali degli utenti, “i detentori dei diritti devono poter emettere una ingiunzione contro un intermediario che porta in una rete la violazione, da parte di un terzo, di un lavoro protetto o altro”.
Va detto che ancora non sono disponibili le motivazioni della sentenza ma SABAM ha già fatto sapere di voler utilizzare il verdetto per “ragionare” con tutti i provider belgi . A suo dire, devono impedire che vengano scaricati software di sharing o che quelli già scaricati vengano effettivamente utilizzati.