Roma – Quello delle telecomunicazioni è un mercato che necessita di maggiore apertura. È quanto dichiara il ministro delle comunicazioni Paolo Gentiloni in occasione dell’approvazione del Consiglio dei Ministri – avvenuta ieri – della riforma del sistema televisivo. Che è tutta da attuare, ma di cui già si intravede il cammino, che deve superare due “strozzature storiche: pubblicità e frequenze”, e che richiede un nuovo quadro di regole “per il passaggio alla tv digitale, garantendo il mercato sia per quel che riguarda il digitale terrestre sia la nascente banda larga”.
Banda larga, più larga?
Nei piani del governo, quindi, il broadband è una delle risorse fondamentali su cui fondare la riforma in atto. Una considerazione che sembra fare eco alle parole pronunciate ieri al Senato da Viviane Reding, commissario europeo per la società dell’informazione e i media, che ha rilevato l’ arretratezza italiana in tema di diffusione (in primis) e utilizzo (di conseguenza) della banda larga.
La riforma ha incontrato apprezzamento unanime, raccogliendo anche l’inaspettata adesione del ministro per le Infrastrutture Antonio Di Pietro, che pochi giorni fa aveva dichiarato “Mi dispiace, ma questa riforma in Consiglio dei ministri non la voto”, mentre ieri dal suo blog ha spiegato così la sua inversione di rotta: “Condivido l’impegno del Ministro Paolo Gentiloni a voler spaccare il monopolio del mercato pubblicitario e televisivo”.
“In sostanza – ha spiegato il ministro Gentiloni – la riforma ha come obiettivo la moltiplicazione dell’offerta televisiva, condizione per il raggiungimento di un maggior pluralismo e una miglior qualità”. Nella ricetta studiata per migliorare la TV nostrana c’è quindi più DTT e più banda larga (o banda più larga).
Via libera, dunque, alle media company (qualifica a cui aspirano aziende come Telecom Italia e Fastweb , tanto per citare i soggetti che hanno già mosso i primi passi , anche piccoli in questa direzione).
Ma non solo: “nelle norme che prevedono la liberalizzazione del mercato – fa notare Gentiloni – per quel che riguarda frequenze e rastrellamento di risorse, si nasconde la tutela di alcuni valori costituzionali”. Sarà in virtù della riforma che “si libereranno per la prima volta in Italia quantità significative di frequenze”.
Le regole del DTT
La riforma, come detto sopra, riguarda logicamente anche l’altro “canale” di diffusione dei contenuti di intrattenimento, la piattaforma digitale terrestre: la pianificazione dello switch-off, ossia la conversione definitiva dall’analogico al digitale, è fissata con scadenza 30 novembre 2012 (ovvero sei anni dopo il termine fissato in origine). Pay TV e canali Pay-per-view dovranno rispettare il limite del 20% per ogni gruppo di appartenenza, i gruppi con più di due canali nazionali (Rai e Mediaset) saranno tenuti entro 15 mesi dall’approvazione definitiva della legge a trasferirne uno sul DTT (e sulle altre piattaforme digitali) e non potranno più effettuare trading delle frequenze per le reti digitali.
È stato inoltre definito e disciplinato “il diritto d’accesso all’infrastruttura a banda larga a tutti i soggetti titolari di un’autorizzazione generale per servizi televisivi lineari”.
Auditel verso l’IPTV?
A margine di questo fattore bisogna lavorare però anche su altri aspetti: “intervenire per dare maggiori certezze e garanzie sulle rilevazioni degli indici di ascolto”. Nuova disciplina anche per Auditel, per cui è previsto un capitale sociale equamente distribuito per offrire rappresentanza a tutti i soggetti operanti nel settore televisivo. Le rilevazioni degli indici di ascolto potranno essere svolte anche da soggetti pubblici laddove si verificasse una non rispondenza dei campioni. Già, ma se parte del mercato televisivo giocherà le proprie carte sulla banda larga, come si calcoleranno questi indici?
Una soluzione, per Auditel e compagni (pubblici e privati) potrebbe consistere nella possibilità di estendere le proprie analisi anche al traffico IPTV, con un’affidabilità anche maggiore di quella attuale. Qualcuno si sta già muovendo in questa direzione.
Novità, infine, anche per la pubblicità: “Le tv che assumono una posizione dominante – ha spiegato il ministro Gentiloni, individuando così i soggetti che occupano il 45% delle risorse – non diventano oggetto di multe e sanzioni. Si è pensato di applicare una diversa misura: quella della riduzione dell’affollamento orario della pubblicità, che passa dal 18 al 16%. Obiettivo di questa misura è che, al contrario delle multe, ha un evidentissimo effetto redistributivo che è l’obiettivo virtuoso che questa riforma si propone”.
Argomento, quello dell’affollamento pubblicitario, di primissimo rilievo per Altroconsumo che rileva, da un monitoraggio degli spot TV , che “delle sette reti tv nazionali solo Raidue e Raitre non hanno mai sforato i tetti orari pubblicitari. Tutte le altre non hanno rispettato i tetti orari stabiliti per legge”.
Dario Bonacina