Toblòg/ Chi ha invitato l'Orkut cattivo?

Toblòg/ Chi ha invitato l'Orkut cattivo?

di Vittorio Bertola - Ecco come nasce un network per la socialità, capace di portare ad una schedatura di massa in cui confluiscono la rete di relazioni dell'individuo, i suoi interessi e i dati personali
di Vittorio Bertola - Ecco come nasce un network per la socialità, capace di portare ad una schedatura di massa in cui confluiscono la rete di relazioni dell'individuo, i suoi interessi e i dati personali


Roma – Nonostante il sito sia attivo solo da un paio di settimane, sarà già capitato anche a voi di riceverne: prima uno, poi due, poi quattro o cinque, magari seguiti da ulteriori solleciti di persona o via ICQ.

Sto parlando degli inviti a “unirti ai tuoi amici” su Orkut , l’ultima moda della rete. Per i pochi che non lo conoscono, si tratta di un sito di relazioni personali; ogni persona può registrarsi e indicare i propri dati e i propri interessi; può poi unirsi alle “comunità” corrispondenti alle proprie passioni. E, soprattutto, può invitare tutti i propri amici, fornendo al sistema nomi, cognomi e indirizzi di e-mail, che lo stesso provvederà a contattare per lui.

Ovviamente, Orkut fa di tutto per incentivare gli utenti a far registrare nuove persone; ad esempio, nella propria pagina personale, gli amici di ogni membro sono elencati nell’ordine corrispondente al numero dei loro amici: e tu vorrai mica essere l’unico sfigato in fondo alla classifica, la cui mancanza di successo sociale viene impietosamente messa in luce dal sistema? No, e allora giù a contattare tutti quelli che conosci e a rompere loro le scatole finchè non si registrano.

Allora, cosa c’è di male? In fondo, si tratta solo di un giochino di società.

Per cominciare, Orkut sfrutta uno dei grandi ritrovati della scienza commerciale moderna, il cosiddetto marketing virale : il trucco di usare come venditori del servizio i tuoi stessi amici e colleghi, costringendoti per rifiutarlo a dir loro in faccia un bel no – cosa non sempre facile.

Personalmente, lo trovo un odioso ricatto, che svilisce completamente i rapporti umani, trasformando una chiacchierata tra amici nella presentazione commerciale di un prodotto altrui; l’unica differenza con il famigerato multilevel marketing – ma proprio l’unica – è che nessuno dei presenti, di solito, guadagna alcunchè. E non sono sicuro che, per gli utenti, sia positiva.

Ma fosse tutto qui… In realtà, Orkut solleva tanti altri dubbi, per vari motivi.

Innanzi tutto, Orkut è un servizio di Google – anche se, finora, questo è scritto nel modo meno evidente possibile. Potrete trovare al massimo una piccola scritta che dice “in affiliation with Google” , in blu su azzurro, in fondo alla pagina. Per saperne di più, tocca leggersi qualche articolo giornalistico su siti americani, come ad esempio questo .

Ora, se il governo italiano si presentasse alla vostra porta, chiedendovi gentilmente di compilare una lista contenente nomi, cognomi e indirizzi di e-mail di tutte le persone che conoscete, raggruppate per interessi e opinioni comuni, cosa fareste? Presumo che non solo fareste resistenza, ma probabilmente vi indignereste e protestereste ad alta voce. Del resto, la rete italiana ha appena fatto esattamente questo in occasione di una recente proposta di legge, subito denominata “Grande Fratello” .

E allora, perché dovreste dare le stesse informazioni, perdipiù gratis e volontariamente, a una grande corporation americana come Google?

A una azienda basata negli Stati Uniti, una nazione dove la protezione legale della privacy è decisamente minore di quella comunque obbligatoria per aziende e governi europei?

E perché basta che gli americani, evidentemente più furbi dei nostri governanti, travestano la stessa richiesta da giochino alla moda perché subito tutti corrano a partecipare?

Certo, Orkut ha un contratto e una politica sulla privacy , che dice:

“We may share both personally identifiable information about you and aggregate usage information that we collect with Google Inc. and agents of orkut in accordance to the terms and conditions of this Privacy Policy. We will never rent, sell, or share your personal information with any third party for marketing purposes without your express permission.”

Naturalmente, quel che a voi resta in mente è la seconda frase, vero? Non è un caso: perché il problema è nella prima. Difatti, Orkut non darà mai i vostri dati a un terzo per spammarvi… perché non ne ha bisogno: la frase precedente autorizza Google e non meglio definiti “agenti di Orkut” – cioè chiunque firmi un contratto con Orkut – ad accedere ai vostri dati, anche non anonimizzati.

Ma il vero problema non è affatto il potenziale abuso dei vostri dati a fini commerciali. Il vero rischio di una schedatura di massa come questa – perché di schedatura si tratta: un grosso elenco di tutti gli utenti della rete che partecipano ad Orkut, e di tutte le loro amicizie, divise per interessi comuni – è l’uso che potrebbe esserne fatto senza che voi mai veniate a saperlo.

Del resto, Google è una compagnia americana, e la stessa pagina sopra citata dice chiaramente che i vostri dati saranno ceduti a qualsiasi entità americana che abbia diritto legale di averli – incluse quelle agenzie governative incaricate di far rispettare certe leggi tristemente famose, come il Patriot Act o il DMCA .

Naturalmente, molti di voi non ci crederanno; del resto, nemmeno io posso essere certo di quale sia il vero scopo di questa iniziativa. E poi, Google non è notoriamente uno dei “buoni” della rete, l’azienda dove i dipendenti sono liberi di creare quel che vogliono e dove i soldi non contano nulla?

Beh, innanzi tutto, ricordatevi che, nel nostro mondo, l’immagine che avete di un prodotto o di una azienda non è mai, ripeto mai, casuale; è stata sempre concepita e pianificata con attenzione, mediante un uso scientifico dei media.

Allora, invece di credere alle favole, adottiamo un approccio più razionale: perché un’azienda come Google, sulla strada di una tormentata ma lucrativa quotazione in Borsa al misero valore di venti miliardi di dollari, spenderebbe un bel po’ di soldi per mettere in piedi un sistema del genere per milioni di utenti?

Beh, stando alla home page, “per far socializzare le persone” . Oh, certo: pace e amore è il tipico argomento che convince i banchieri a comprare le tue azioni il giorno in cui ti quoti in Borsa. Nessuna azienda, tantomeno se quotata al Nasdaq , può permettersi di regalare le cose! In qualche modo, prima o poi, Google dovrà pur trarre guadagno dal suo bel database, attraverso il marketing oppure attraverso la vendita di informazioni su di noi a chi è interessato ad averle.

Insomma, ho cercato di dirvi queste cose nel modo più chiaro possibile, anche se magari si tratta di preoccupazioni eccessive, e di un rischio che potrebbe non materializzarsi mai, ma che non possiamo permetterci di correre a cuor leggero.

A me, tanto, non servirà: perché, grazie alla gentile sollecitudine dei miei amici, il mio nome e il mio indirizzo di e-mail ce l’hanno già. A quel punto, nella form potrei anche dire di chiamarmi Roberto Baggio e dare come indirizzo di mail rbaggio@milan.com (a proposito – questa è la mia finta identità per scaricare RealPlayer , e l’indirizzo di mail vi dice da quanti anni la uso) – ma tanto, grazie al solito cookie, già sanno e sempre sapranno che in realtà io sono Vittorio Bertola.

E però, spero che questa storia possa servire perché molti di noi comincino a stare più attenti a dove vanno a finire i dati personali; e non solo gli indirizzi di e-mail o i numeri di telefono, ma le indicazioni su chi conosciamo e su chi frequentiamo, e quelle sulle nostre passioni e sulle nostre idee sociali e politiche, che sono e devono essere ancora più private.

Perché è noto che la vera sfida da vincere per difendere la nostra privacy non è garantirla a quei pochi che la cercano attivamente, ma far capire la sua importanza a quei molti che non ne hanno ancora afferrato il vero valore.

Vittorio Bertola
Toblòg

dello stesso autore:
Toblòg/ Onan il blogger
Toblòg/ Hacker Hacker 2003
Toblòg/ Agonia Portale

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Pubblicato il
9 feb 2004
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