No, i ricercatori della Carnegie Mellon University non hanno aiutato l’FBI a “crackare” Tor nell’ambito delle indagini contro Silk Road 2.0, un’accusa emersa nei giorni scorsi a opera degli sviluppatori della rete anonimizzatrice e che probabilmente continuerà ad aleggiare nel dibattito sulla privacy online anche dopo le dichiarazioni ufficiali delle parti interessate.
In una “dichiarazione per i media” piuttosto stringata , l’università statunitense nega di aver ricevuto il milione di dollari di compenso citato dai creatori di Tor, dicendo piuttosto di limitarsi a collaborare con autorità e forze dell’ordine nel caso in cui arrivino richieste di accesso con subpoena legalmente emesse dal giudice.
I ricercatori della Carnegie Mellon non sono stati pagati, insomma, però avrebbero dovuto collaborare con l’FBI – secondo quanto lascia intendere la dichiarazione di cui sopra – come previsto dalla legge. Che poi questa collaborazione ci sia poi stata, l’università non lo conferma ma nemmeno lo nega .
La possibile compromissione di Tor dietro mandato federale è una questione destinata a far discutere ancora a lungo a causa delle potenziali conseguenze (tecnologiche e non solo) che il caso porta con sé, tanto più che le dichiarazioni dell’FBI alimentano ulteriormente i dubbi e tengono in vita il sospetto.
Il Bureau statunitense era intervenuto subito dopo la pubblicazione delle accuse degli sviluppatori, con un portavoce che aveva semplicemente definito “impreciso” il presunto pagamento di 1 milione di dollari ai ricercatori della Carnegie Mellon University. Sosa ci sia di erroneo, nelle dichiarazioni del team di Tor, l’FBI non ha premura di chiarirlo.
Alfonso Maruccia