Una nuova sentenza mette un macigno sul passato di Uber: è quella firmata a Torino contro il gruppo grazie al ricorso di dieci rider appoggiati dagli avvocati Giulia Druetta e Sergio Bonetto. Nel mirino, in particolare, la divisione Uber Eats e le modalità con cui il gruppo portava avanti assunzioni e rapporti di lavoro con i propri dipendenti.
Uber Eats perde la causa
Le accuse erano pesanti: “si lavorava in qualsiasi condizione, sotto la pioggia, al freddo, ma senza assicurazione e senza tutele. Se capitava un incidente e si chiamava l’azienda non si ricevevano risposte. Ora sono molto contento di questa decisione del tribunale“. La paga era pari a 3 euro all’ora, con turni estremamente pesanti e sanzioni prive di giustificazioni. Un vero e proprio sfruttamento, insomma, che partiva dal reclutamento della forza lavoro in centri per immigrati dove era chiaramente semplice trovare qualcuno disposto a mettersi in gioco pur di poter lavorare.
La condanna impone a Uber il pagamento di retribuzione e indennità per il periodo di lavoro svolto, ma secondo l’avvocato Druetta il problema non è ancora risolto:
È stata fatta giustizia di una condizione di lavoro fuori da ogni parametro che getta vergogna sul nostro Paese. Dalle carte dell’inchiesta penale di Milano è emerso che ai rider ci si riferiva con termini quali “schifosi” o “senzatetto maleodoranti”. Ora vedremo come andrà il processo. Ma dal punto di vista dell’inquadramento lavorativo mi sembra chiaro, visto che noi parlavamo di fatti avvenuti ancora nel 2020, che la situazione, nonostante il decreto legge del 2019, non può dirsi risolta. La piaga è da sanare.
Quella che voleva essere una modalità “smart” di lavorare, si è ridotta invece ad un tradizionale e mero caporalato. Tempi passati, dopo i quali molti interventi sono già stati apportati sia dal gruppo che dalle normative nazionali, ma il problema dei rider resta centrale per il futuro di piattaforme che vorrebbero attingere a nuove modalità di collaborazione per sostenere l’innovazione delle proprie offerte.