L’accordo Trans-Pacific Partnership ( TPP ) è arrivato alla sua stesura finale e sembra incarnare alcuni dei timori più grandi sollevati dagli osservatori più diffidenti.
Anticipato lo scorso ottobre da diversi documenti ottenuti da Wikileaks, il TPP è il trattato di regolamentazione e di investimenti regionali che dovrebbe – tra l’altro – regolare la lotta alla contraffazione nel commercio tra alcuni stati (tra cui Stati Uniti, Messico, Canada e Nuova Zelanda): fin dall’esordio delle sue negoziazioni, nel 2014, è stato tuttavia considerato il naturale erede dell’ Anti-Counterfeiting Trade Agreement ( ACTA ), nomea che lo ha accompagnato fino alla sua stesura definitiva.
Ora, anche se il testo ufficiale rimane ancora riservato alle diplomazie internazionali, la Nuova Zelanda ha confermato che l’impostazione adottata in sede di negoziazione rimane proprio quella di ACTA, riflettendo in maniera preponderante un punto di vista a stelle e strisce per la proprietà intellettuale.
Quella di Washington, d’altra parte, è un’impronta incentrata soprattutto su brevetti, indicazioni geografiche, diritto d’autore e misure anti-aggiramento delle tecniche di protezione dei contenuti digitali, come i DRM, fortemente segnata dall’influenza degli aventi diritto, ed in particolare di Hollywood e delle maggiori etichette discografiche.
Per quanto si debba parlare ancora di dettagli sparsi ed indiscrezioni da confermare, infatti, la Nuova Zelanda riferisce che in particolare sarà richiesto a tutti i Paesi firmatari l’adozione di termini di protezione del diritto d’autore o del copyright di almeno 70 anni : un’omologazione che significa a livello mondiale un’estensione significativa della tutela. Le cose in sede di negoziazione hanno anche rischiato di andare peggio: il Messico aveva proposto una durata della protezione del copyright a 100 anni.
“Per quanto tale cambiamento potrebbe beneficiare in alcuni casi gli artisti neozelandesi – dicono le autorità neozelandesi – questi vantaggi rimarranno assolutamente modesti” ed al contempo la riforma comporterà che “i consumatori e le attività commerciali dovranno rinunciare ai risparmi che prevedevano di ottenere dallo sfruttamento di opere in uscita dal diritto d’autore. La Nuova Zelanda, infatti, è uno di quei Paesi che attualmente prevede una durata di 50 anni del diritto d’autore e anche per questo, insieme al Canada, ha chiesto ed ottenuto un periodo di transizione per adottare l’estensione.
La Nuova Zelanda spiega inoltre che il trattato interverrà sulla normativa relativa alle regole anti-aggiramento delle misure digitali a protezione dei contenuti, il DRM in primis: secondo quanto riferisce ora, l’accordo prevede che tali misure di aggiramento siano proibite, a parte i casi in cui tale superamento non riguardi contenuti non protetti da copyright (com’è il caso dello sblocco dei dispositivi con codifiche specifiche che ne impediscono la lettura in determinati stati) o per eccezioni specificatamente previste dalla normativa (come per esempio la conversione di un libro in braille).
Claudio Tamburrino