La Raccomandazione Lambrinidis approvata lo scorso 26 marzo dal Parlamento Europeo con 481 voti favorevoli, 25 contrari e 21 astensioni è un richiamo forte a non sprecare una grande occasione ed a non dimenticare che nessuna esigenza di repressione delle attività illecite poste in essere attraverso Internet giustifica una linea di politica legislativa che travolga i diritti fondamentali dei cittadini europei: primi tra tutti quello alla privacy ed alla libertà di manifestazione del pensiero.
È un atto denso di contenuti ed indicazioni ponderate ma ferme e risolute, quello che il Parlamento Europeo ha appena indirizzato al Consiglio UE, un provvedimento che cade in uno dei momenti più delicati della storia della Rete proprio mentre lo stesso Parlamento sta discutendo dell’ormai famoso Pacchetto Telecom ed in molti Paesi, tra i quali il nostro, i Governi ed i Parlamenti hanno scoperto e guardano ad internet nel modo peggiore ovvero come un nemico dal quale difendersi e difendere i propri cittadini.
L’immagine della Rete che emerge dalla Raccomandazione del Parlamento è, al contrario, quella cara a quanti quotidianamente la utilizzano nella loro attività lavorativa, per informarsi o informare o a quanti, più semplicemente, vi hanno intessuto relazioni sociali di differente livello ed intensità. Internet come importante strumento di emancipazione degli utilizzatori e come straordinaria opportunità per rafforzare la cittadinanza attiva lottando contro le due nuove sfide dell’analfabetismo elettronico e dell’esclusione democratica nell’era elettronica . Sono queste alcune delle suggestioni ed indicazioni con le quali si apre la Raccomandazione del Parlamento Europeo al Consiglio.
Sono principi capaci di restituire un po’ di fiducia e speranza nel futuro della politica dell’innovazione in Europa e nel nostro Paese ma, ad un tempo, parole e prospettive che suonano vuote ed utopistiche se solo le si accosta a quanto sta accadendo in queste settimane.
Si tratta, tuttavia, di un esercizio stimolante e di un raffronto tra com’è e come dovrebbe essere l’approccio di un Governo del XXI secolo alla disciplina della Rete. Vale, pertanto, la pena di provarci.
Maggiore trasparenza nel processo decisionale attraverso un maggiore accesso dei cittadini alle informazioni archiviate dai governi . È questa una delle prime raccomandazioni contenute nel provvedimento approvato dal Parlamento.
Illusione o speranza per un Paese come il nostro, contro il quale la Commissione Europea ha appena avviato una procedura di infrazione proprio per il mancato recepimento della disciplina europea sull’accesso alle informazioni pubbliche e in cui lo Stato non riesce – nel 2009 – neppure a garantire ai propri cittadini l’accesso a leggi e sentenze che pure sono tenuti a rispettare? Senza con ciò voler riaprire polemiche non ancora del tutto sopite, sempre al riguardo, il pensiero non può non correre – solo per guardare alle ultime settimane – all’attività del Comitato contro la pirateria digitale e multimediale avviata sulla base di un presunto danno da pirateria di 2 miliardi di euro la cui documentazione di supporto – nonostante l’esistenza di un apposito forum – non è ancora stata posta a disposizione di cittadini ed addetti ai lavori.
Il Parlamento, nella Raccomandazione, invita inoltre il Consiglio UE a condannare la censura imposta dai governi al contenuto che può essere ricercato sui siti Internet, soprattutto quando tali restrizioni possono avere un effetto dissuasivo sul discorso politico e ad invitare gli Stati membri a garantire che la libertà di espressione non sia soggetta a restrizioni arbitrarie da parte della sfera pubblica e/o privata evitando tutte le misure legislative o amministrative che possono avere un effetto dissuasivo su ogni aspetto della libertà di espressione .
Anche in questo caso, se ci si ferma a riflettere su talune recenti iniziative legislative in questo momento all’esame del nostro Parlamento, vien da chiedersi quanto la Raccomandazione rischi di determinare irrealizzabili illusioni o, piuttosto, concrete speranze.
Attraverso l’ormai celebre emendamento D’Alia , si propone di rendere dalla sera alla mattina inaccessibili interi siti Internet solo perché qualche bit su di essi ospitato appare – ad un primissimo esame che non è neppure chiaro se debba essere compiuto dall’autorità giudiziaria o, piuttosto, dal Ministero dell’Interno – suscettibile di istigare a delinquere o, piuttosto, di far apologia di reato.
I disegni di legge presentati dall’ On. Carlucci e dall’ On. Barbareschi mirano ad imporre forme più o meno penetranti di controllo sui contenuti suscettibili di diffusione attraverso Internet, nel primo caso attraverso l’istituzione di un apposito comitato per la tutela della legalità nella Rete Internet e nel secondo strizzando l’occhio alla soluzione francese dei three strike e reintroducendo forme di responsabilità degli intermediari della comunicazione destinate a condurre – come alcuni recenti episodi rendono già evidente – a nuove forme di censura privata poste in essere in “autotutela” dagli intermediari stessi.
Basterà la Raccomandazione del Parlamento europeo al Consiglio a far comprendere ai promotori di queste iniziative di essersi messi in cammino nella direzione sbagliata?
Analoghe considerazioni sembrano potersi svolgere in relazione al fermo “no” a qualsivoglia forma di monitoraggio di massa del traffico degli utenti specie – ma non solo – se svolto da soggetti privati ancorché se per la tutela di propri legittimi diritti ed interessi, così come a norme di legge o provvedimenti che impongano agli ISP di comunicare alle autorità governative dati relativi all’identità o al traffico generato dai propri utenti al di fuori di casi da individuarsi con estremo rigore e parsimonia.
Come si conciliano queste raccomandazioni con il diritto dei titolari dei diritti di proprietà intellettuale al monitoraggio del traffico che costituisce un presupposto indefettibile di molte soluzioni di enforcement in discussione , in questi giorni, nell’ambito dell’attività del Comitato antipirateria o, piuttosto, con il divieto assoluto di immissione di contenuti in forma anonima in Rete che costituisce il pilastro dell’ultimo disegno di legge presentato dall’On. Carlucci?
Il Parlamento, con la Raccomandazione del 26 marzo, credo abbia tracciato il cammino da seguire per giungere ad un’equilibrata disciplina delle condotte telematiche e pervenire così – come d’altra parte dice il titolo della raccomandazione medesima – ad un “Rafforzamento della sicurezza e delle libertà fondamentali su Internet”.
È, tuttavia, un percorso lungo ed impervio reso più faticoso dalla ferma ostinazione di taluni – che sembra potersi scorgere dietro alla politica dell’innovazione di queste ultime settimane – a guardare ad Internet come alla televisione del XXI secolo e a pretendere, pertanto, di esportare in Rete quelle stesse regole che hanno precluso al più grande dei mass media prima dell’avvento di Internet di trasformarsi in uno strumento davvero democratico di divulgazione dell’informazione e di diffusione del sapere e lo hanno, piuttosto, progressivamente reso un modesto amplificatore di poche voci ed uno strumento di standardizzazione culturale.
Guido Scorza
www.guidoscorza.it