Il file che conserva all’interno di iPhone/iPad le coordinate non criptate di posizionamento raggiunte dall’utente sembra confermarsi una situazione intricata che sta sfociando nelle prime azioni legali; e che, come già paventato da alcuni osservatori , potrebbe non riguardare solo Apple.
Il problema è nel tempo prolungato per cui tali dati vengono conservati , potenzialmente illimitato tanto da aver spinto alcuni a parlare di un semplice bug causato da un programmatore ha dimenticato di attivare una data di scadenza, ma anche nel fatto che solo in una clausola delle condizioni d’uso vi è una sorta di liberatoria richiesta agli utenti e che i dati non si limitano a quelli raccolti dai sistemi di geolocalizzazione canonici come il GPS . Essi, infatti, contengono anche quelli a cui si può risalire attraverso la registrazione dell’allaccio alle reti WiFi e ai ripetitori GSM, così come confermato da uno studio con cui il Wall Street Journal ha dimostrato che il posizionamento viene registrato anche con il sistema di localizzazione disattivato.
A conferma delle opinioni di alcuni osservatori tra cui l’ex hacker che si occupa di sicurezza Samy Kamkar e il pirata svedese Magnus Eriksson, anche Google è ora al centro delle polemiche e delle indagini in partenza sulla pratica di tracciamento dei propri utenti.
In realtà, la situazione sembrava potersi smontare con la rilevazione che Google considera la geolocalizzazione dei propri dispositivi un servizio opt-in chiamato Google Location Services . Tuttavia oltre alle informazioni necessarie a far funzionare i servizi basati su tali dati, Mountain View, secondo alcuni osservatori, raccoglierebbe anche informazioni che permettono di identificare la singola utenza. Un problema, insomma, come nel caso di Street View di raccolta a strascico di informazioni.
Inoltre sembrerebbe che alcune delle applicazioni più scaricate da Android Marketplace trasmettano informazioni di posizionamento alla rete di advertising sia quando l’utente interagisce con la pubblicità, sia quando l’app non è neanche attiva. Arrivando in alcuni casi a inviare dati ogni 30 secondi.
In ogni caso le richieste di indagini faranno luce anche su queste situazioni e, sia quelle al Congresso dei senatori interessati, sia quelle delle associazioni di categoria, intendono ora chiamare in causa anche Mountain View: il procuratore generale dell’Illinois, Lisa Madigan, ha inviato una lettera di chiarimenti sull’argomenti indirizzandola a Cupertino e a Mountain View. Così come entrambe sono state convocate ad un’audizione di un comitato del senato sulla privacy nel settore della tecnologia mobile promosso dal senatore Al Franken . Aperta un’ indagine anche da parte dell’autorità garante per le comunicazioni sudcoreana.
Finora, alle richieste di chiarimento Google ha risposto ribadendo di aver sempre chiesto il permesso per la raccolta dei dati, che peraltro non arrivano a comprende informazioni tali da identificare il singolo dispositivo. Apple resta invece ancora silenziosa sulla vicenda, a parte che per rapporti in cui afferma che tali tipi di dati non vengono inviati a Apple e per l’ormai consueta email che Steve Jobs avrebbe inviato ad un utente: in essa il CEO negherebbe qualsiasi forma di tracciamento, puntando invece il dito sui dispositivi Android.
Le rassicurazioni di Jobs non hanno tuttavia scongiurato la prima denuncia per Apple: a depositarla sono stati Vikram Ajjampur e William Devito, due utenti della Mela che ora cercano per la propria azione lo status di class action: chiedono danni conseguenti al non aver ricevuto la richiesta esplicita da parte di Apple per la raccolta dei dati di geolocalizzazione e un ingiunzione permanente nei confronti della funzione incriminata.
Claudio Tamburrino