La coda lunga sarà anche morta come sostiene qualche economista, ma per tre studiosi francesi la varietà meravigliosa di materiale digitale, rigorosamente “pirata” per quel che vale, è una caratteristica costante di un sottobosco del P2P mai analizzato in profondità , quello dei tracker BitTorrent di difficile accesso o addirittura disponibili solo su invito.
Sylvain Dejean, Thierry Penard e Raphael Suire dell’Università di Rennes si sono infiltrati in 42 tracker privati delle centinaia disponibili in rete, ricavandone un’ analisi empirica sul comportamento dei condivisori sui network chiusi. Che chiusi sono davvero, visto che come regola comune a tutti c’è il fatto di non avere interesse a una pubblicità aperta come ad esempio incoraggia a fare The Pirate Bay, e di preferire un’utenza ridotta e la relativa sicurezza che questo comporta in relazione alla sovraesposizione e all’eventuale contrasto legale da parte dei proprietari del copyright.
Nei tracker privati è generalmente difficile entrare, spesso occorre il fatidico “invito” da parte di un utente già registrato e in rete non manca un vero e proprio “mercatino” di scambio degli inviti, tu mi dai un ticket per Underground Gamer , io te ne do uno per bitGAMER e cose così. Un’altra tendenza molto comune in questo genere di network è l’obbligo di rispettare certe regole di “share ratio”, un rapporto dato tra il numero di GB condivisi e quelli scaricati, che deve essere quanto più vicino è possibile a 1 o comunque mai sotto una certa soglia stabilita pena l’impossibilità di condividere , la declassazione o persino il ban nei casi più estremi.
In simili contesti, dicono i tre universitari francesi, le critiche espresse in passato dal papà di BitTorrent Bram Cohen sulle controindicazioni dell’applicazione di uno share ratio tendono a essere veritiere: gli utenti tendono sì a condividere in tanti, ma solo i contenuti più richiesti dalla community in generale così da guadagnare velocemente un rapporto adeguato alle regole stabilite. Come conseguenza di questo comportamento, dicono gli studiosi, “le fonti condivise si concentrano solo su pochi file e limitano l’estensione del catalogo” dei contenuti realmente disponibili.
In compenso, continua la ricerca, le “community specializzate sembrano incoraggiare il contributo volontario” così che ogni interesse di nicchia (comic, anime, b-movie, bollywood, porno asiatico e qualsiasi altra cosa possa essere codificata in digitale) offre comunque materiale da scaricare. In questo senso il segreto è un buon bilanciamento tra le regole sullo share ratio e le restrizioni all’accesso, alla ricerca di un amalgama che tenga fuori i leecher che piagano tracker pubblici di dimensioni abnormi come quello di The Pirate Bay e permetta nel contempo il normale fluire di bit tra i partecipanti.
Alfonso Maruccia