Secondo un reportage di Bloomberg Business il settore della pubblicità online vive di una serie di stratagemmi e manipolazioni che spesso sconfinano nel terreno della vera e propria frode .
Oltre alla sempre maggiore diffusione (ed efficacia) dei dibattuti servizi di adblocking, dunque, il modello di business basato sull’advertising deve vedersela con un’altra minaccia, quella delle visualizzazioni e dei click gonfiati: una pratica che, come si legge nel reportage, starebbe minacciando Internet.
Nel rapporto di Bloomberg si sommano una serie di testimonianze sulle modalità di acquisto di traffico. In particolare, nella testimonianza di Ron Anram, direttore marketing di Heineken USA, si legge come l’azienda abbia trovato le pubblicità online molto meno efficaci di quelle in televisione e di come questo sia stato collegato al fatto che effettivamente solo il 20 per cento delle impression generate corrispondesse effettivamente a visualizzazioni da parte di persone reali . “È come se stessimo gettando i nostri soldi al vento: pensavamo di star pagando per le singole visualizzazioni costituite da occhi umani concentrati sulla nostra pubblicità – lamenta Anram – Ma nel mondo digitale in realtà stavamo effettivamente pagando per la diffusione dell’advertising, senza alcuna garanzia che fosse un umano a visualizzarla”.
A confermare tale sensazione vi sono inoltre i dati di un altro studio legato specificatamente alla pubblicità di YouTube: in esso si legge che Google fa pagare gli inserzionisti anche per le visualizzazioni che i suoi sistemi di controllo individuano come “false”.
Per verificarlo i ricercatori hanno addestrato una serie di bot ad aumentare le visualizzazioni di alcuni loro contenuti associati alla loro pubblicità ed hanno quindi incrociato i dati forniti dal conto di Google con quanto prodotto dal loro sistema automatico per fingere visualizzazioni: oltre a rilevare nella fattura finale di Mountain View le finte visualizzazioni, hanno così scoperto una discrepanza tra le visualizzazioni effettivamente conteggiate da YouTube (che in parte sembrano riuscire a discriminare tra reali e fake) e quelle fatturate dal Tubo.
“La gran parte del traffico non valido è già filtrato dai nostri sistemi – ha riferito Google – prima di fatturare agli inserzionisti”. In ogni caso Mountain View riferisce ora l’intenzione di voler approfondire con i ricercatori di questo studio la questione e di voler inoltre lavorare con loro per migliorare le performance dei suoi strumenti di analisi, sia nel senso della trasparenza sia nell’efficacia nel conteggiare le reali visualizzazioni.
Claudio Tamburrino