Solleva attenzione la condanna a tre anni di carcere e 10mila dinari di multa inflitti a Fouad Mourtada, ingegnere informatico marocchino di 27 anni, la cui colpa è quella di essersi registrato su Facebook affermando di essere il Principe Moulay Rachid (nella foto), fratello di di Re Mohammed VI.
Amnesty International proprio non la digerisce: “Siamo scioccati da un verdetto così severo”, dice Benedicte Goderiaux, membro di quell’ala dell’associazione che sostiene i diritti umani in particolare nell’area del Marocco e del Sahara occidentale, dove il processo si è svolto. “La sentenza è sproporzionata”.
Sia la parte lesa che il giudice hanno accusato Mourtada di aver “minacciato la sacra integrità del regno così come rappresentata dal sovrano”. E se questo è il capo d’accusa, Mourtada va ritenuto un “prigioniero d’opinione”, sostiene Goderiaux. Inoltre vi è evidenza, secondo Amnesty, che la sottoscrizione dell’atto di accusa sia avvenuta sotto forti pressioni .
Ali Ammar, avvocato difensore di Mourtada, ha fatto notare che “su Facebook vi sono Sarkozy, Bush, Blair e star dello sport e del cinema, ma nulla attesta che si tratti dei reali personaggi”. Senza che ciò abbia prodotto l’irrogazione di sanzioni simili o pene equivalenti per nessuno degli utenti “usurpatori”. Come ben sanno i molti frequentatori dei social network, le pagine “fasulle” sono migliaia, spesso dedicate anche a uomini di chiesa o a protagonisti della storia di molti diversi paesi.
A Mourtada è stato chiesto il motivo che lo ha spinto al gesto: “Lo ammiro, mi piace molto e non gli ho mai causato nulla di male, era solo un gioco. Sono innocente”, ha risposto.
The Arabist, uno dei blog multilingua su cultura e politica del mondo arabo più seguiti in Egitto e in tutto il mondo, titola “Free Fouad Mourtada” e ammette, con un occhiello che fa da preludio alla dettagliata vicenda e alla petizione per liberarlo, che il suo arresto è l’ennesima, triste testimonianza di un regime marocchino che cambia solo in apparenza. Di rilievo, infine, questo studio del Middle East Institute dal quale emerge un Marocco tutt’altro che avviato sulla strada di una solida democrazia.
Marco Valerio Principato