Alla vigilia del Mobile World Congress 2016 sarà senza dubbio una mossa che farà molto discutere: Tre ha annunciato tramite la sua filiale britannica che integrerà la tecnologia dell’israeliana Shine nel suo network mobile, di fatto impostando a livello di rete un blocco per le pubblicità presenti sui siti navigati attraverso gli schermi degli smartphone. Tra le ragioni addotte dall’operatore per questa scelta, il peso che queste inserzioni hanno sul traffico dati a carico dei clienti. Regno Unito e Italia dovrebbero essere le prime nazioni a vedere introdotta questa tecnologia sulle reti Tre , i suoi due mercati europei più importanti .
Sono tre i motivi con cui Tre ha giustificato la sua iniziativa: la prima, come detto, è il peso dei banner sulla quota traffico dati a disposizione degli utenti che pagano salati pochi gigabyte al mese. Poi ci sono la sicurezza e la privacy : non è possibile escludere che in certi casi gli inserzionisti raccolgano informazioni preziose su chi visualizza i loro banner, anche senza il consenso esplicito del pubblico, o che i contenuti pubblicitari possano veicolare infezioni o iscrizioni non richieste a servizi in abbonamento. Infine, Tre si trincera dietro l’opportunità di offrire ai suoi clienti inserzioni realmente ritagliate sui loro gusti ed esigenze.
Non è la prima volta che questo tipo di discussione irrompe sul panorama della Rete: già in passato si era discusso dell’impatto del business di Google, con il suo AdSense, sugli equilibri economici e di banda dei siti che ospitano i banner. Nel caso di Tre, tuttavia, la questione è più complessa: al contrario delle connessioni casalinghe o in generale fornite su linea fissa che sono salvo rare eccezioni senza limiti, nel mobile ci sono quasi sempre limiti precisi e quote piuttosto basse per la quantità di dati che i terminali possono scambiare prima di venire rallentati o bloccati sul network.
Quello che non viene detto esplicitamente nel comunicato Tre è che, molto probabilmente, l’azienda vede in questa situazione uno spiraglio per soddisfare al contempo l’esigenza degli utenti di una navigazione veloce e leggera e al contempo quella di rimpinguare le sue casse. Come già accade con servizi come AdBlock, che creano delle white-list a cui gli inserzionisti possono accedere pagando una quota d’iscrizione e rispettando alcune regole per quanto attiene la natura dei banner, Tre potrebbe cercare un accordo analogo con aziende e network pubblicitari : fornendo in cambio informazioni di profilazione, magari in forma anonima, e ottenendo euro e sterline che non fanno mai male. In altre parole, occorrerà trovare una mediazione che spartisca diversamente la torta dell’advertising.
Immediata la reazione di IAB , che rappresenta gli interessi dei network di advertising in Rete. “IAB ritiene che una Internet sovvenzionata dalla pubblicità sia essenziale nel garantire introiti agli editori così che possano continuare a produrre i loro contenuti, servizi e applicazioni disponibili per tutti a prezzi modici o del tutto gratuiti”: sono le parole di Alex Kozloff, responsabile di marketing e comunicazioni per l’associazione, che ha anche aggiunto che “Riteniamo che l’adblocking mini questo approcio e possa comportare per i consumatori un pagamento per i contenuti che al momento ottengono gratuitamente”.
Luca Annunziata