Il 29 Dicembre arriva nelle sale italiane Tron: Legacy , il sequel che dopo 28 anni riprende il discorso interrotto da Tron , uno dei film più tecnologicamente innovativi degli ultimi 50 anni di cinema, e purtroppo anche uno di quelli invecchiati peggio. L’idea però non è solo di riprendere le fila di una trama (Kevin Flynn, grande programmatore e hacker, ha creato diversi giochi di successo ma Encom se n’è appropriata senza riconoscergliene la paternità, in un tentativo di hack finalizzato ad estrarre informazioni che possono incastrare la società Flynn finirà nel computer, un mondo in cui i programmi hanno forma umana e i creativi sono venerati come divinità). Ma piuttosto quella di riprendere un discorso, il più importante, quello che racconta come la tecnologia entri nella nostra vita. Una volta temuta e oggi abbracciata anche nella sua componente umanistica.
Nel 1982 infatti Tron utilizzava il contesto e le dinamiche del mondo informatico (si parla di software, hardware, periferiche di I/O e via dicendo) per ripetere il consueto format di successo dei film Disney: un po’ di fantasy, azione disimpegnata, umorismo facile e buoni sentimenti per la famiglia. Il fascino delle ambientazioni realizzate in computer grafica però raccontava quello che stava succedendo all’industria del cinema e prefigurava quello che sarebbe poi diventata la regola, proprio nell’anno in cui Blade Runner raccontava il futuro ricostruendolo tutto in uno studio.
In ossequio alle regole della fantascienza in Tron il cattivo erano le macchine, capeggiate dall’MCP, unità di calcolo centrale raffigurata come un dittatore e un mostro: il computer che pensa, in grado di uccidere gli uomini come i programmi e in grado di influenzare anche il mondo reale. Oggi in Tron: Legacy le cose sono diverse, il nemico è sempre un programma (C.L.U., software programmato dallo stesso Flynn, che ne ha le medesime fattezze, già presente nel primo film ma in maniera marginale), questa volta tuttavia anche la soluzione sarà nella macchina. Nonostante infatti un seguito in forma di videogioco uscito nel 2004, il nuovo film si riallaccia direttamente al primo ignorando il modo in cui la trama è stata portata avanti in quel caso. Cosa degna di stupore specie in virtù dello stretto legame da sempre esistito tra cinema e videogiochi di Tron. Molti ne sono stati creati a partire dalle scene più note del film, alcuni ipotizzando il prosieguo della storia con una crossmedialità vista solo nella saga di Guerre Stellari.
La spaccatura probabilmente è avvenuta perchè in Tron: Legacy la novità sta tutta nel fatto che si nega uno dei presupposti centrali della fantascienza: la figura negativa delle macchine. Il genere stesso si fonda sulla lotta tra materia e spirito, tra meccanico e umano, per vedere nella quasi totalità dei casi il trionfo dello spirito. Questo perché, fin da quando esiste, la tecnologia meccanica e digitale a determinati livelli di complessità è stata lontana dalle persone comuni, in linea di massima non conosciuta e quindi temuta. La fantascienza è espressione di questi timori e ansie per un futuro in cui una dimensione poco conosciuta, e in apparenza poco controllabile, abbia la meglio su quello che rende l’uomo umano.
Tron: Legacy invece porta su di sé l’impronta del diverso rapporto che oggi abbiamo con la tecnologia. Il figlio di Kevin Flynn, in cerca del padre, finisce anch’egli nel mondo del computer e, trovatolo, dovrà aiutarlo a combattere C.L.U., poiché il software negli ultimi 25 anni è diventato un dittatore e, in ossequio all’ordine che gli fu impartito decenni prima dal suo creatore, (” Realizza un mondo perfetto “) ha eliminato l’elemento umano. Il suo prossimo obiettivo ovviamente è il mondo fuori dal computer. Per questo i due Flynn dovranno uscire da lì e possibilmente portare con loro gli “algoritmi isomorfici”, sorta di anomalie comparse spontaneamente nel periodo in cui Flynn-padre cercava di creare un mondo migliore. Questi algoritmi (che come quasi tutto nel mondo interno del computer hanno forma umana) sono alla base della rinascita e sono descritti come divinità presenti nel mondo digitale: ” Abbiamo creato per millenni dei e mitologie e non sapevamo che era qui che dovevamo cercare ” dice inequivocabilmente Jeff Bridges nel descriverle.
Proprio questo, cioè la presenza nel mondo digitale della salvezza dello spirito dalla dittatura della materia, è il segno di quel cambio che arriva a rappresentare al cinema il mutato rapporto della società con la tecnologia. Rispetto ad anni fa, oggi la tecnologia è strumento di ogni giorno e soprattutto è strumento plasmabile da ognuno, a dimostrazione di come non sia una minaccia per la cultura umanistica, ma un nuovo veicolo. Una delle grandi rivoluzioni della rete di questi ultimissimi anni è stato il passaggio dall’essere la sede dei ragionamenti, dei calcoli e delle opportunità scientifiche ad essere anche un mezzo di comunicazione personale, quindi utile alla veicolazione e alla crescita dello spirito.
Tron: Legacy non è il primo film a trattare in questo modo la fantascienza, negli ultimi 2 anni già altre opere molto note e commerciali, come ad esempio Wall-E della Pixar o Moon di Duncan Jones, avevano cominciato a raccontare questo cambio. Ora nella dialettica tra spirito e materia alla tecnologia viene fatto il dono della complessità, essa rappresenta tutte e due le parti, è la minaccia e contemporaneamente contiene la soluzione.
Sebbene non semplice da seguire, questo nuovo Tron (in cui il personaggio del titolo non compare quasi mai) è un’esperienza visiva e uditiva fuori dal comune e dotata di senso solo se fruita al cinema. A crearla è il misto di immagini e suoni il cui merito va alla pari ai Daft Punk , che hanno realizzato una colonna sonora in cui echeggia Vangelis e sono stati sound designer, cioè hanno partorito i suoni del mondo all’interno del computer, e al regista Joseph Kosinski che ha “disegnato” il film assieme a dei designer. E sebbene Tron: Legacy non sia privo di cadute di stile (C.L.U., ovvero la versione ringiovanita al digitale di Jeff Bridges, è un fallimento di credibilità a detta dello stesso regista), è forse uno dei film che, con la sua stessa esistenza, riesce in controluce a raccontare il cambio che è avvenuto da quando la tecnologia è diventata davvero per tutti.
Gabriele Niola
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