Arriva dal profilo LinkedIn di Paul Ridden, CEO di Smarttask, una segnalazione piuttosto bizzarra: l’invio a domicilio di lettere (cartacee, non email) che chiedono ai cittadini britannici di mettere mano ai portafogli virtuali ed effettuare donazioni al fine di salvare l’economia del Regno Unito dagli effetti della Brexit. Recano il timbro di Buckingham Palace e la firma del segretario privato di Sua Maestà.
UK: donate Bitcoin per salvarci dalla Brexit
La Regina Elisabetta si è dunque mobilitata battendo cassa tra i propri sudditi per fronteggiare le conseguenze dell’uscita dall’Unione Europea? Ovviamente no, si tratta di una truffa. A destare qualche sospetto, oltre che la natura curiosa della missiva, dovrebbe essere quel codice QR da inquadrare con lo smartphone per raggiungere direttamente il wallet su cui effettuare il versamento in criptovaluta. Eppure, temiamo, qualcuno potrebbe cascarci, magari di fronte alla promessa di un rimborso gonfiato da interessi. Così si apre il testo dell’invito a partecipare alla raccolta.
Caro Mr. Ridden, per la seconda volta negli ultimi trent’anni, Sua Maestà la Regina Elisabetta II fa appello a un certo numero di persone per salvare l’economia della Gran Bretagna. Come sapete, la Brexit sarà attuata a breve e non abbiamo raggiunto un accordo bilaterale con l’Unione Europea.
Viene anche indicato un ammontare minimo per la donazione: la Regina non si accontenta di qualche sterlina. E pretende la somma in Bitcoin.
Con indulgenza facciamo appello a lei, se le è possibile prestare alla Casa Reale una somma tra 450.000 e 2.000.000 di sterline. Offriremo un interesse del 30% per un periodo di tre mesi e la possibilità di diventare membro della Royal Warrant Holders Association.
In grassetto la parte in cui viene chiesto al destinatario di non condividere con altri l’opportunità ricevuta. Meglio che gli affari di Buckingham Palace rimangano a Buckingham Palace, per non turbare equilibri e trattative diplomatiche a livello internazionale.
Desideriamo che questa lettera rimanga anonima, non vogliamo che il suo contenuto diventi virale. Questo potrebbe interferire con i termini che abbiamo in previsione di ottenere con un accordo bilaterale.