L’AI non solo sta alimentando un nuovo tipo di pirateria musicale, ma viene anche utilizzata per truffare le persone coinvolte nella pirateria musicale. È quanto afferma Graeme Grant, vicepresidente della Universal Music per la protezione globale dei contenuti, in una nuova presentazione all’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale.
La truffa dei brani pre-release
Grant ha spiegato che alcuni truffatori usano l’AI per produrre clip musicali con voci clonate che sembrano appartenere a artisti famosi. Queste clip vengono poi messe in vendita come brani pre-release, cioè brani che non sono ancora stati pubblicati ufficialmente, ma che sono stati ottenuti illegalmente da artisti o etichette tramite hacking o phishing.
Questi brani falsi attirano l’interesse di alcuni gruppi online che si occupano di procurarsi e condividere i brani in anteprima, spesso pagando cifre stellari per averli. Grant ha riferito che alcuni utenti sono caduti nella truffa, spendendo da 5.000 a 30.000 dollari per acquistare brani che in realtà erano generati dall’intelligenza artificiale. A volte, gli utenti si organizzano in “acquisti di gruppo”, mettendo insieme le loro risorse per raggiungere il prezzo richiesto dal truffatore.
Questa pratica non sembra preoccupare molto l’industria musicale, che da anni cerca di contrastare i gruppi che si dedicano alla pirateria musicale. Tuttavia, è un fenomeno interessante che dimostra le potenzialità e i pericoli dell’AI generativa per la musica.
Il problema dei brani con voci clonate sui servizi di streaming
Ciò che invece preoccupa maggiormente la Universal Music è che i brani con voci clonate generate dall’AI possano finire sui servizi di streaming, dove potrebbero guadagnare una parte delle royalty se diventano popolari. Questo potrebbe accadere perché i fan si confondono e pensano che si tratti di brani veri dell’artista clonato, o perché sono incuriositi di ascoltare come suona la versione AI di quell’artista.
Per evitare questo scenario, le etichette cercano di far rimuovere i brani con voci clonate dai servizi di streaming, usando diverse argomentazioni legali. Una di queste è che lo strumento di intelligenza artificiale ha usato musica senza licenza per addestrarsi, violando i diritti d’autore delle major. Un’altra è che il brano finale contiene un campione o un’interpolazione di una canzone esistente senza autorizzazione. Un’altra ancora è che il brano viola il marchio e il diritto all’immagine dell’artista clonato.
Grant ha fatto l’esempio della finta traccia di Drake di Ghostwriter, probabilmente la più famosa tra le pubblicazioni di cloni vocali dell’anno. Questa traccia conteneva un campione di una canzone controllata da UMG, chiamata ‘No Complaints’ di Metro Boomin, e per questo motivo è stata rimossa dai servizi di streaming per violazione del diritto d’autore. Una nuova versione, senza il campione, è stata poi caricata, ma è stata segnalata per violazione di marchio e diritto all’immagine.
Grant ha presentato la sua richiesta all’OMPI in vista della riunione del mese prossimo del Comitato consultivo sull’applicazione dell’organizzazione, che discuterà dell’AI.
La sfida del diritto d’autore nell’era dell’AI
Nella sua presentazione, il dirigente della Universal ha anche affrontato il tema del diritto d’autore nell’era dell’intelligenza artificiale. Graeme Grant ha sottolineato il problema che i modelli AI vengono addestrati con musica esistente senza licenza, violando i diritti d’autore delle major. Questo problema riguarda non solo i brani con voci clonate, ma anche quelli che usano l’AI per creare musica originale, ma basata su musica preesistente.
Secondo Grant, che la legge esistente sul diritto d’autore dovrebbe essere sufficiente a tutelare i diritti delle major. L’importante è non vengano introdotte eccezioni o limitazioni che possano favorire l’uso dell’intelligenza artificiale senza licenza. Ha anche chiesto una maggiore collaborazione tra le parti interessate per trovare soluzioni equilibrate e sostenibili per l’uso dell’AI nella musica.