Alle prossime elezioni politiche statunitensi manca davvero pochissimo. La notte tra martedì 8 e mercoledì 9 novembre sarà quella decisiva, quella in cui conosceremo cioè chi sarà il prossimo Presidente degli Stati Uniti. I due principali candidati – come ormai sappiamo – sono Donald Trump per il Partito Repubblicano e Hillary Rodham Clinton per il Partito Democratico. Il sistema elettorale americano non prevede l’elezione diretta del Presidente da parte dei cittadini, ma sarà un gruppo formato da 538 delegati – i cosiddetti “grandi elettori” che rappresentano tutti i 50 stati – a scegliere il capo della federazione. La campagna elettorale dura da mesi ormai ma è ancora apertissima. Quasi tutti i sondaggi danno i due candidati pressoché alla pari, insomma c’è decisamente molta incertezza sull’esito del voto: proprio per questa ragione la comunicazione dei due candidati sarà molto importante. Non c’è spazio per fare errori, anche il più piccolo inciampo potrebbe significare la sconfitta. Queste preoccupazioni non riguardano ovviamente solo il tour elettorale, i comizi con folle oceaniche o i dibattiti in tv. Mai come in questa tornata elettorale è stato necessario improntare per entrambe le parti una comunicazione online il più possibile efficace : anche in quest’ultimo mese le armi saranno bene affilate per sferrare gli ultimi fendenti attraverso il Web, vere e proprie bordate dirette alle platee che si trovano davanti agli schermi di computer, smartphone e tablet.
Donald Trump ha deciso di continuare a giocare il ruolo dell’aggressore e non si risparmia colpi. L’ultimo è diretto a Google – anche se ovviamente il bersaglio dell’operazione è il diretto avversario politico. Il magnate ha accusato il gigante di Mountain View di truccare i risultati delle ricerche a favore di Hillary Clinton. A suo dire, Google darebbe poca rilevanza ai risultati negativi sulla candidata del Partito Democratico, nello specifico il motore nasconderebbe dal form di ricerca certi suggerimenti negativi relativi a Clinton.
La dichiarazione è arrivata mercoledì scorso, l’ha fatta direttamente Trump, con la sua voce, mentre si trovava sul palco di un comizio nella Contea di Waukesha – contea che si trova in Wisconsin, uno degli stati considerati dagli analisti più critici dal punto di vista del risultato elettorale, quasi sospeso sulla linea del 50 per cento tra un candidato e l’altro. A dirla tutta, l’accusa del candidato repubblicano è stata diretta ma non precisissima: ha parlato di un “Google Poll” ma durante tutto il corso della campagna elettorale Mountain View non ha commissionato direttamente un sondaggio sui candidati presidenziali.
Probabilmente Trump faceva riferimento a un sondaggio online, organizzato dall’ Independent Journal Review – una specie di Buzzfeed di destra – che lo dava in vantaggio sull’altro candidato dell’1,7 per cento. Per la ricerca online il sito Independent Journal Review ha usato lo strumento Google Consumer Survey , una tecnologia che permette di mettere in piedi una ricerca di marketing in maniera molto semplice, rapida ed economica. Dunque – si conceda il gioco di parole – l’accusa sembra essere strumentale, nel senso letterale del termine. Google ha solo messo a disposizione il mezzo, un servizio online peraltro a disposizione di chiunque voglia utilizzarlo per le sue ricerche.
Sull’accuratezza dei sondaggi online in generale – e del Google Consumer Survey in particolare – è difficile esprimersi. Sappiamo bene quanto sia facile pilotare il risultato di questo tipo di web-consultazioni o di come, anche in buona fede, i risultati che emergono da queste modalità di raccolta spontanea delle opinioni non siano poi così rappresentativi della situazione reale. Lo ribadiamo: è un sondaggio online, non una ricerca scientifica su un campione selezionato dell’elettorato attivo. Per dirne alcune: non sappiamo chi è stato incluso nel sondaggio, come sono stati scelti i partecipanti, ecc. Difficile dunque dare molto credito alle cifre emerse.
Per di più il fatto che Google stia volontariamente favorendo Clinton è tutto da dimostrare. Al momento nessuno è riuscito a provare che questo accada sul serio. Qualche mese fa in Rete ha iniziato a girare una leggenda secondo cui, digitando “Hillary Clinton Cri”, il motore di ricerca non fornisse alcun suggerimento di ricerca, mentre inserendo la parola chiave “Donald Tump Cri”, suggerisse “Donald Trump Criminal”. I primi segnalarlo furono i redattori del sito SourceFed , che realizzarono persino un video per dimostrare la cosa, ma in breve tempo Google rimandò le accuse al mittente e altri siti terzi, come Vox, riuscirono anche a fare un “debunk”, cioè a dimostrare che si trattava di una bufala.
Recentemente però la storia è tornata a galla in forma simile. Robert Epstein, l’ex direttore del magazine Psychology Today, ha prodotto uno studio/articolo per il sito Sputnik News in cui cerca di dimostrare che Google opererebbe un filtro di tipo politico sui suoi risultati , eliminando alcuni suggerimenti dalla barra di ricerca quando si inseriscono determinate parole chiave “anti-Clinton”, mentre manterrebbe visibili quelle “anti-Trump”. La presunta pratica ha anche guadagnato una denominazione ufficiale: Search Engine Manipulation Effect . Molto difficile credere anche a questo nuovo tentativo di dimostrazione, in quanto già lo stesso autore afferma che, se i lettori provassero ad effettuare in autonomia lo stesso test, otterrebbero risultati diversi. Il che è chiarissimo, se si conosce il modo in cui funziona questa tecnologia: è noto che i risultati delle ricerche dei motori di ricerca – Google Search compreso – dipendono da diversi fattori contestuali, come i cookie salvati, il fatto che l’utente sia loggato o meno, la cronologia delle ricerche dell’utente, la zona geografica (se sono state effettuate ricerche simili nello stato in cui si trova l’utente), la rete di contatti sociali dell’utente (se amici o contatti hanno fatto ricerche simili) ecc. Per di più: che senso avrebbe eliminare “Hillary Clinton Criminal” dal suggerimento della chiave di ricerca, se poi comunque attraverso il motore è possibile trovare diversi risultati quando si digita quella chiave?
Altro particolare non del tutto trascurabile: il sito Sputnik News è finanziato dal Governo russo . Come se non bastasse, inoltre, pare che Epstein si sia rivolto a questo sito perché è stato l’unico che ha accettato di pubblicare il suo articolo senza operare alcuna modifica o taglio.
L’accusa comunque è chiara: Google – che in effetti negli USA fa parte di un certo establishment liberale – starebbe mettendo in pratica un’occulta strategia per favorire il candidato democratico, starebbe orientando cioè il dibattito pubblico, nascondendo volontariamente informazioni negative sulla Clinton dai risultati del suo motore di ricerca. Il condizionale però è quanto mai obbligatorio: pare che Trump proprio non piaccia alla Silicon Valley, ma sembra poco probabile che Google scelga di sporcare la propria immagine – costruita in tanti anni di motto “Don’t Be Evil” – con pratiche non proprio limpide come queste.
Nicola Bruno