Le grandi compagnie statunitensi impegnate nel mondo della tecnologia inizino a pensare al proprio futuro facendo a meno della Cina: lo ha chiesto Donald Trump a chiare lettere per alzare nuovamente la posta nella propria sfida all’Oriente, cercando con questa mossa di mettere ulteriore pressione ai rivali cinesi dopo che da Pechino sono giunte notizie di dazi sui prodotti USA. La settimana si chiude così con il bazooka USA e la risposta cinese che nel mirino mette oltre 5000 articoli con minacce di rialzi sui prezzi pari al 5-10%: la tensione sale e la situazione non è destinata a rasserenarsi, il che sembra distendere un’ombra tetra soprattutto sulle prospettive dell’industria tech.
USA vs Cina: oltre i dazi
Prima i dazi USA sui prodotti cinesi, quindi il ban sulle collaborazioni USA con alcune aziende cinesi (con Huawei in cima alla lista), quindi i contro-dazi con i quali la Cina chiude parzialmente il proprio mercato alla merce USA. All’interno di questa escalation ogni mossa è tracciata su uno scacchiere estremamente instabile, del quale nessuno al momento vede la fine. La nuova mossa di Donald Trump, però, sembra andare oltre i dazi per spingere oltre la propria pressione. Parte tutto con una lunga serie di tweet in sequenza:
Our Country has lost, stupidly, Trillions of Dollars with China over many years. They have stolen our Intellectual Property at a rate of Hundreds of Billions of Dollars a year, & they want to continue. I won’t let that happen! We don’t need China and, frankly, would be far….
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) August 23, 2019
….better off without them. The vast amounts of money made and stolen by China from the United States, year after year, for decades, will and must STOP. Our great American companies are hereby ordered to immediately start looking for an alternative to China, including bringing..
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) August 23, 2019
Un tweet che vale miliardi di dollari poiché firmato dal 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America: alle aziende USA è chiaramente consigliato di iniziare ad organizzarsi al fine di portare via dalla Cina le proprie catene di produzione (ove gran parte dei prodotti vengono assemblati) e tutto ciò come forma di ritorsione contro i furti di proprietà intellettuale che secondo Trump hanno svuotato l’industria americana nel corso degli anni. Ma è immaginabile un’inversione di tendenza rispetto a quel che è successo negli ultimi anni, dove USA e Cina hanno dominato la filiera produttiva dell’alta tecnologia con una fecondazione reciproca fatta di collaborazioni transoceaniche? Più probabilmente, e non nel giro di pochi mesi, è immaginabile uno spostamento delle catene di assemblaggio su altri mercati (l’India potrebbe approfittarne), con gli USA determinati a tenere in mano la parte creativa del processo, tuttavia si tratta di cambiamenti che sarebbero pagati a caro prezzo sia su un fronte che sull’altro. In questa guerra fredda fatta di dazi e ritorsioni, del resto, un altissimo prezzo da pagare c’è: nasce dal debito pubblico, passa per la competizione internazionale ed è intriso di geopolitica. Per l’utente finale è questione di prezzi e posti di lavoro, per le aziende è questione di delocalizzazione, ma per gli Stati la posta è ancor più alta.
Le conseguenze finanziarie dei tweet presidenziali sono immediate: dopo un tentativo di rimbalzo da parte della Borsa, grazie alle parole accomodanti di Powell in relazione alle politiche economiche della Federal Reserve dei mesi a venire, la curva torna a virare al ribasso con Apple che arriva a perdere quasi il 5%, AMD che crolla del 7,4% e Alphabet del 3,2%. Il crollo è generalizzato, ma l’industria tech sembra essere quella che paga il maggior prezzo: grandi attese sono quindi sugli indici USA in vista dell’odierna apertura della nuova settimana, ma le aspettative sono basse poiché, in un mercato ove aleggia latente il rischio di una nuova recessione, le picconate di Trump non rendono certamente sereni gli investitori.