“America first”, la promessa diventata slogan che Donald Trump ha sbandierato in campagna elettorale continua ad essere il faro che indirizza la politica della sua amministrazione su più fronti. Dal punto di vista della produzione e dello sviluppo economico, la priorità americana si è tradotta in una serie di facilitazioni per le multinazionali che hanno deciso (o accettato visto l’elevato pressing politico) di riportare la produzione in madre patria rinunciando almeno in parte alla delocalizzazione . In questo percorso di rientro a casa c’è da oggi anche Apple. Tim Cook, che inizialmente aveva contestato l’eccessiva ingerenza di Trump (così come buona parte delle aziende della Silicon Valley ), avrebbe assicurato di essere in procinto di aprire 3 nuovi impianti manifatturieri in territorio americano . È la stampa internazionale a riportare la notizia proveniente da un’intervista del Wall Street Journal allo stesso Trump.
Riferendosi a Cook, Trump ha affermato: “mi ha promesso 3 grandi stabilimenti, molto molto grandi e finché non inizierà a costruirli in questa nazione non potrò considerare la mia amministrazione un successo economico. Mi ha chiamato e mi ha detto che stanno andando avanti”. Manca al momento una replica ufficiale da parte di Cupertino, ma anche un commento da parte del portavoce della Casa Bianca.
Allo stato attuale Apple produce in terra americana solo una parte di Mac Pro. Parte della strategia dell’azienda prevede inoltre di affidare la produzione ad aziende terze partner. Nel caso in cui la notizia fosse confermata non è comunque chiaro se i nuovi stabilimenti saranno di proprietà Apple o terziarizzati . Secondo alcuni siti specialistici è probabile che il presidente USA abbia “reinterpretato” a modo suo una dichiarazione di Tim Cook. È probabile infatti che l’AD di Apple abbia fatto riferimento nelle sue dichiarazioni alla volontà di convincere alcuni partner ad “avvicinare” la produzione negli Stati Uniti. Tra questi Foxconn , uno dei maggiori supplier dell’azienda, avrebbe confermato l’intenzione, preannunciando una nuova apertura in Wisconsin.
Gli investimenti da parte di Apple in territorio statunitense, a prescindere dall’apertura di nuovi siti produttivi a gestione diretta, sono vivi. Una parte del miliardo di dollari a favore della manifattura , promesso da Cook a maggio (attraverso il fondo d’investimento Vision Fund rivolto a aziende coinvolte in IoT, AI, deep learning e robotica), è da poco stato dirottato su Corning, azienda specializzata nella produzione di smart glass. Apple ha stretto un accordo della durata di 10 anni che ha garantito la nascita di almeno un migliaio di posti di lavoro. E gli sviluppi futuri sono tutti in divenire. D’altronde l’opera di seduzione di Trump verso Apple è stata chiara fin dai primi mesi di insediamento. La promessa di sgravi fiscali sta facendo il resto.
Se l’apertura di stabilimenti in terra americana e i forti investimenti in aziende locali potranno stimolare l’economia interna è da considerare, secondo gli analisti, che la riduzione di approvvigionamento da strutture estere potrebbe comportare alla lunga instabilità economica e politica . Anche la reale crescita del mercato del lavoro potrebbe essere a repentaglio, sottolineano gli osservatori. Casi come quelli di Foxconn, che lo scorso anno ha licenziato una fetta importante della sua forza lavoro sostituendola con robot, non sono di certo rassicuranti. Quindi la correlazione tra rientro della produzione e crescita dell’economia con nuovi posti di lavoro non è poi così scontata come si vorrebbe far credere all’opinione pubblica.
Mirko Zago