Si presenta come uno tsunami democratico, ha forma e organizzazioni difficilmente ascrivibili ad un qualche riferimento preesistente e rappresenta uno degli architravi della protesta che in questi giorni sta infiammando le strade di Barcellona. “Tsunami Democràtic” è un nuovo fenomeno politico e sociale, strettamente legato agli indipendentisti catalani (ma trasversale a più movimenti) ed in queste ore sta dando forte impulso alle attività di protesta che hanno avuto avvio dopo la condanna degli emissari politici arrestati per aver fomentato la scissione.
Tsunami Democràtic
La metafora dell’onda ha lunga tradizione online: il “mare” di internet, dove la gente viene a “navigare”, ben si presta a questa immagine di movimento e di massa. Tsunami Democràtic cavalca questa immagine e la concretizza in varie forme, ma soprattutto creando un collante online che consente alla protesta di rimanere coesa e organizzata. C’è un sito, c’è un’app, c’è un canale Telegram, c’è un hashtag, c’è una pagina Instagram, c’è un account Twitter: tanti rivoli di un movimento coordinato che ha portato al blocco dell’aeroporto di Barcellona ed all’occupazione delle strade della capitale catalana.
A cosa serva tutto ciò è spiegato direttamente tra le righe della presentazione dell’app:
L’applicazione Tsunami Democràtic è una piattaforma di coordinamento di azioni pacifiche di disobbedienza civile.
Le varie pagine sono farcite di istruzioni per la creazione di VPN e l’aggiramento della censura, affinché non basti premere un pulsante nella sala dei bottoni dei provider per interrompere il canale di comunicazione tra i vari attivisti dello tsunami. E un mantra annida l’intera comunicazione: “No violència“, perché il movimento non vuole macchie al proprio interno.
I tweet, intanto, sono una sorta di assistente continuo alle difficoltà di quanti, volendo partecipare alla protesta, si trovano di fronte a difficoltà tecniche con censura e applicazioni apparentemente insicure: vere e proprie FAQ firmate “Tsunami D” arricchiscono i contenuti della pagina e permettono agli attivisti di aggirare il problema per raggiungere l’obiettivo.
— Tsunami Democràtic (@tsunami_dem) October 16, 2019
Niente app per iPhone, spiega l’organizzazione: la censura Apple è stata restrittiva a Hong Kong così come lo è in Spagna, impedendo l’approvazione dell’app di protesta. Ma ci sono molte soluzioni alternative, con il fine ultimo di mantenere gli utenti legati al messaggio, alla protesta ed ai contenuti della stessa. Non un network fine a sé stesso, insomma, ma un elemento facilitante per la veicolazione dei messaggi attraverso molteplici canali, attraverso QR Code che danno corpo al passaparola, tramite un “engagement” che non è soltanto un insieme di like.
Online, offline
L’aspetto interessante sta nel fatto che il movimento sia coordinato online, ma sia fortemente attivo offline: ci si incontra su piazze virtuali per poter organizzare sit-in reali, si dialoga su piattaforme digitali, ma poi si porta il frutto del dibattito direttamente per le strade. C’è una continuità lineare tra le due dimensioni, insomma, ed in questa dinamica la componente online è fondamentale per tenere assieme le file della protesta.
In Italia non si è ancora visto un movimento di questo tipo. Gli attivismi fin qui nati (M5S e non solo) hanno usato piattaforme online più centralizzate e più concentrate su pochi canali (Facebook in primis), mentre la natura di Tsunami Democràtic è più decentralizzata, frammentata e pensata per avere una resilienza di fondo che consenta all’attivismo di non essere ascrivibile a pochi canali ed a facile censura.
Il canale Telegram conta ormai oltre 300 mila utenti, il canale Instagram raggiunge i 150 mila follower, Twitter è alla soglia dei 200 mila account. A prescindere dalla questione politica (estremamente importante, però, per capire la natura di questo movimento di protesta), ad essere interessante è il modo in cui questo “tsunami” si sta auto-organizzando per coordinare le persone e le rispettive proteste.
La domanda è lecita: chi c’è dietro tutto ciò? Quale mente sta orchestrando questi canali? Si può davvero immaginare sia tutto frutto di attivismo decentralizzato, oppure c’è una macchina di produzione di contenuti che sta soffiando sul fuoco? Cosa ci sia a monte rimane al momento poco chiaro, il che porta facilmente a sospettare che non sia tutto così spontaneo come potrebbe apparire. L’esempio italiano, standard sul quale giocoforza costruiamo i nostri benchmark di ragionamento, appare però difficilmente accostabile: i nostri partiti usano strumenti ben differenti per comunicare ed i nostri movimenti di protesta non hanno finora dato vita a proteste online in alcun modo raffrontabili a questa.
Tsunami Democràtic sembra insomma un unicum, almeno in termini di organizzazione e intensità della protesta, a livello europeo (mentre in parte ricalca qualcosa di simile nato a Hong Kong). Un fenomeno da seguire, insomma, anche perché riflette appieno quanto sta accadendo in Spagna, ma soprattutto inserisce nelle pratiche della protesta di piazza tutto il valore che può offrire l’organizzazione tramite strumenti online. Di virtuale c’è ben poco in tutto ciò, ma di digitale c’è molto.