Da pochi giorni si sta consumando l’ennesimo tormentone della scuola digitale: il Governo lancia il proprio piano, le aziende organizzano eventi e demo per mettere in mostra il proprio contributo effettivo o potenziale in questa svolta epocale. A noi resta da capire, guardando il più possibile da spettatori neutrali questo movimento, se si tratti di una svolta effettiva per quanto riguarda i giovani che transitano oggi attraverso la scuola dell’obbligo o se invece, ancora, siamo perennemente all’inseguimento di un miraggio. Tanto più, facendo del benaltrismo a buon mercato, che alla scuola italiana non basterà introdurre semplicemente il digitale nel corso di studi per colmare il ritardo infrastrutturale di locali e anzianità del corpo docente da cui è afflitta.
Guardando ai buoni propositi messi assieme dal MIUR nel suo Piano Nazionale Scuola Digitale ( PNSD ) pare tuttavia di cogliere una certa lucidità nelle priorità definite: se al primo posto della lista c’è la banda larga nelle scuole, con tanto di contributo economico ministeriale per abbassare il costo che ciascun istituto deve affrontare per avere fibra o altra tecnologia ad alte prestazioni a disposizione, non mancano riferimenti alla formazione dei docenti e l’avvio di una rassegna per stabilire con esattezza quali siano le dotazioni attuali degli istituti per comprendere come e dove investire i soldi italiani e dei Fondi Strutturali Europei. Ovvero: stop agli inutili finanziamenti a pioggia , spazio a un censimento che dica quali sono davvero le esigenze delle singole scuole.
Sulla pagina del MIUR dedicata al progetto c’è poi tanto di riferimento puntuale ai bandi istituiti per promuovere le attività digitali a scuola, con la creazioni di ambienti specifici dove esercitare la didattica e indicazioni su quali siano gli interventi a cui dare la priorità e persino in che ordine. Il Ministero ha specificato anche quanti soldi investirà su ciascun capitolo facendo riferimento a fondi già stanziati (quindi immediatamente disponibili), ponendo delle sfide al personale (dirigenti e docenti) per provare a spingerli ad arrischiarsi in territori inesplorati con la prospettiva di un incentivo economico. L’ammodernamento, poi, passerà anche per la digitalizzazione dei processi: ovvero la creazione di profili digitali per studenti e insegnanti (dove monitorare progressi e aggiornamenti di entrambi) , e la promozione definitiva del registro elettronico e altre tecnologie per migliorare la comunicazione tra i diversi attori coinvolti nel mondo dell’istruzione.
Suggestivo anche che tra le azioni proposte dal PNSD ci sia la promozione delle competenze digitali: uscendo dall’ottica vetusta che vede l’informatica e Internet in competizione con il “Sapere” propriamente detto , il piano si spinge anche a ipotizzare il BYOD ( bring your own device ) a scuola. La realtà è che gli studenti, quasi tutti ormai, hanno in tasca terminali con potenze e connettività spesso superiori alla dotazione scolastica: permettere loro di sfruttarli, di usufruire della ricchezza delle informazioni della Rete per una stimolazione cross-mediale invece di ridurre gli smartphone e i tablet unicamente a distrazione nel corso delle lezioni, è un passo in avanti notevole.
È in questo ambito che si muovono le iniziative come ad esempio quella mostrata da Microsoft nel corso di una manifestazione organizzata a Roma la scorsa settimana: sul palco di una sala conferenze della Capitale affollata di insegnanti, dirigenti e anche alunni di ogni ordine e grado, è toccato all’AD Carlo Purassanta e ai suoi collaboratori mostrare le idee che Microsoft ha da proporre per cambiare la didattica. E, a sorpresa, in quella occasione la più gettonata dagli speaker e dagli spettatori è un videogioco : “Minecraft è già presente oggi nella quotidianità di ogni bambino. Se chiedi a una classe chi è che conosce e usa Minecraft, praticamente alzano tutti la mano – ci racconta Francesco Del Sole, responsabile dell’area educational per la filiale italiana dell’azienda di Redmond – Minecraft è un gioco diffusissimo, il gioco più venduto al mondo probabilmente, ma è un gioco che soprattutto dà la possibilità di creare oggetti in una logica computazionale e dà la possibilità di immergersi in mondi che il bambino stesso può creare”.
Dal punto di vista didattico si possono fare diversi utilizzi di Minecraft : lo si può impiegare per esempio per sviluppare competenze informatiche, visto che è possibile creare oggetti semplici e complessi nel gioco che funzionano anche in base ai più classici operatori logici dell’algebra di Boole (AND, OR, NOT ecc) o seguendo gli schemi classici delle istruzioni condizionali (IF THEN). Così i ragazzi imparano, divertendosi, a combinare assieme questi elementi e acquisiscono competenze che potranno essere riapplicate direttamente alla programmazione in seguito. Ma non è solo una questione di portare un videogame in classe: “Tutto questo fa parte di un programma che stiamo portando avanti in collaborazione con il MIUR e il CINI – racconta a Punto Informatico Del Sole – si chiama Programma il futuro e sta avendo molto successo: solo noi di Microsoft abbiamo già formato più di 3.000 bambini sul coding”.
Naturalmente non basta che i ragazzi sappiano usare Minecraft perché ciò possa portare giovamento: occorre che anche i docenti siano pratici della tecnologia, così come è indispensabile che la dirigenza scolastica fornisca l’indirizzo necessario a impiegare e spingere queste novità in aula . Sul palco, non a caso, Purassanta ha annunciato un nuovo programma che vedrà il coinvolgimento di 600 presidi (che altro non è se non la vecchia denominazione degli attuali dirigenti scolastici), distribuiti equamente tra nord-centro-sud, a cui verranno fornite competenze specifiche per la creazione e la gestione di progetti dal forte connotato digitale che poi potranno mettere in pratica nel loro istituto.
Con spirito analogo c’è un’altra iniziativa partita sempre da una big dell’industria delle nuove tecnologie, anche se in questo caso si passa dal software all’elettronica di consumo: Samsung, sempre di concerto col MIUR, sta portando avanti in 54 classi vincitrici di apposito bando il progetto Smart Future (e si sommano ad altre 48 che già dal 2013 partecipano all’iniziativa), volto a testare l’impiego di ausili moderni alla didattica. Nella classe 2C della scuola media Massimo Gizio alla periferia di Roma sono stati installati una serie di dispositivi che cambiano le dinamiche in aula : via la lavagna, sostituita da un maxi-schermo interattivo, via libri e quaderni sostituiti dai tablet. Anche il diario e l’assegno vanno in pensione: il lavoro viene archiviato e messo a disposizione nel server di classe, da dove gli alunni possono prelevarlo anche se per qualche giorno si sono assentati.
Come nel caso di Microsoft, anche Samsung non trascura la necessità di formare pure i docenti che questi nuovi strumenti dovranno usarli: ci sono 35 insegnanti che sono stati selezionati e vengono addestrati a divenire Educational Ambassador , così da farsi portavoce e tutor dei colleghi che operano poi in classe. L’obiettivo di Samsung, e del MIUR che ha accettato di avviare una collaborazione con l’azienda, è di rinnovare anche in questo caso le dinamiche di divulgazione (i ragazzi hanno accesso a strumenti multimediali e l’insegnante può valutare al meglio il loro progresso con dati oggettivi), senza trascurare la possibilità di collaborare tra diversi insegnanti di diversi istituti grazie alla natura digitale del materiale prodotto che può essere facilmente condiviso .
A guardare quello che ci mostrano queste aziende si può fare una considerazione, questa volta positiva: l’evoluzione di questi strumenti, hardware e software, ha raggiunto un livello tale da costituire effettivamente un valido supporto per la scuola. Peso ridotto, schermi luminosi, autonomia adeguata: un tablet odierno può davvero sostituire i libri di testo, e lo stesso vale per le e-board che possono tranquillamente mandare in pensione le vecchie lavagne di ardesia (o, meglio ancora forse, affiancarle). Il vero scoglio da superare è legato a quanto di vecchio ancora alberga in classe: metodi di insegnamento che non si sono adeguati alle nuove tecnologie, mancanza di connettività (in certi casi anche solo guardare un video su YouTube può rivelarsi proibitivo), libri di testo che tutto sono tranne che rispettosi di formati aperti e interoperabili .
Il fatto che nel PNSD varato dal ministro Giannini, tra l’altro presente alla inaugurazione di Samsung a Roma, e dai suoi collaboratori questi siano tutti argomenti affrontati regala un po’ di speranza. Bisognerà però verificare che davvero i fondi per i cablaggio prioritario dei distretti scolastici finiscano per garantire un’efficace banda larga alle scuole, e se davvero la classe degli insegnanti accoglierà i nuovi metodi e le nuove tecnologie in aula. Forse più che 500 euro l’anno da spendere in un tablet nuovo, quasi inevitabilmente, occorrerebbe vincolare quelli e altri fondi nell’aggiornamento coatto di chi è volente o nolente un forzato digitale . Con la speranza che il piano di assunzioni varato e il concorso che il Governo si appresta ad annunciare apportino anche un necessario cambio generazionale.
a cura di Luca Annunziata