Chiedere agli intermediari della Rete di favorire i dati dei propri utenti per agevolare le indagini della autorità, e per di più pretendere che lo facciano senza comunicare alcunché agli utenti in oggetto, rappresenta una violazione della Costituzione degli Stati Uniti: a denunciarlo, spalleggiando Facebook insieme alle associazioni che si battono per i diritti dei cittadini della Rete, una frotta di aziende operative online, che al pari del social network potrebbero essere costrette a consegnare i propri utenti.
Facebook si era già mossa in precedenza: aveva lamentato una massiccia richiesta di informazioni da parte di un tribunale di New York, che aveva imposto del 2013 la consegna di tutti i dati, tra email, conversazioni private e fotografie, relativi a 381 account sul social network in blu. Solo 62 di questi account contenevano informazioni utili ad indagare sulla truffa legata a falsi invalidi per cui le informazioni erano state richieste, e Facebook aveva denunciato la sproporzione tra l’efficacia della richiesta e la grave violazione della privacy di tutti gli utenti che era stata costretta a consegnare: per questo motivo domandava che queste richieste venissero ridimensionate nel rispetto del Quarto Emendamento della Costituzione USA, che protegge da perquisizioni e confische irragionevoli, e aveva ottenuto di poter informare i propri utenti delle indagini.
A supportare Facebook nel proprio attacco alle pratiche adottate dalla giustizia statunitense, oltre a New York Civil Liberties Union e ACLU , è ora una nutrita lista di aziende che comprende Google, Microsoft, Twitter, LinkedIn, Yelp, Dropbox, Pinterest, Foursquare, Kickstarter, Meetup e Tumblr: queste aziende hanno depositato, suddivise in tre documenti, delle testimonianze a favore della posizione di Facebook.
Google e Microsoft, insieme a Pinterest, Twitter e Yelp, hanno riconosciuto di avere “un forte interesse” rispetto ad una conclusione del caso nella direzione indicata da Facebook: tutte queste aziende sono spesso chiamate a collaborare dalle forze dell’ordine, e si trovano a dover cedere sulle garanzie di riservatezza che offrono agli utenti dei propri servizi per accondiscendere alle esigenze delle autorità, che esprimono richieste spesso ritenute poco mirate.
E se le grandi aziende come Facebook, Google, Microsoft e Twitter possono permettersi di agire in tribunale per contrastare le richieste della autorità troppo estensive e lesive della privacy, gli intermediari di medie dimensioni spiegano di non poter disporre delle risorse per rivolgersi ai tribunali e ristabilire le proporzioni tra privacy e supporto alle indagini: se dunque la richiesta di Facebook trovasse accoglimento e si stabilissero delle regole più restrittive per limitare le richieste delle autorità , ricordano Foursquare e Tumblr nelle loro testimonianze, ne potrebbero beneficiare tutti i soggetti che operano in Rete, e soprattutto tutti i loro utenti.
Ma non solo solo gli intermediari della Rete a chiedere più equilibrio tra le esigenze delle autorità e i diritti degli utenti: “Solo perché oggi la tecnologia viene usata per diversi scopi, tra cui le attività criminali – ha commentato Mariko Hirose, legale di ACLU e fra gli autori del documento depositato dall’associazione a favore di Facebook – non credo che ciò debba significare che le persone stanno rinunciando al loro diritto alla privacy. I tribunali dovrebbero riconoscere la realtà dell’era digitale, e qualcuno sta già cominciando a farlo”.
Gaia Bottà