“Ho sbagliato. Non credevo che il nostro comportamento inducesse alla violazione del copyright. Capisco che il giudice l’abbia vista in maniera diversa”. Parole e musica di Mark Gorton, founder di LimeWire. Una significativa ammissione di colpevolezza che ha probabilmente soddisfatto gli agguerriti legali della Recording Industry Association of America (RIAA).
Gorton ha dunque fatto pubblica ammenda , sottolineando come la sua gestione di LimeWire fosse pienamente consapevole dell’uso pirata fatto dalla stragrande maggioranza degli utenti . Ma al founder non sarà poi pesato granché, evidentemente convinto che il danno economico agli artisti o ai legittimi detentori dei diritti non fosse così grande. Più semplicemente, il servizio non doveva chiudere i battenti.
A farlo chiudere ci aveva poi pensato il giudice Kimba Wood, con una specifica ordinanza che ponesse fine ai download di LimeWire. Un grafico presentato ora in aula dai legali di RIAA ha spiegato allo stesso Wood come una piccola percentuale – circa il 20 per cento – degli utenti di LimeWire possa essere definita legalmente inconsapevole . A fronte di un 25 per cento di hardcore pirates , scariconi incalliti.
Il processo a LimeWire va dunque avanti, in vista di un epilogo non esattamente a lieto fine per il founder Mark Gorton. Il suo servizio potrebbe essere condannato a pagare alle major una cifra che oscillerebbe tra i 7 milioni e il miliardo e mezzo di dollari . Recenti rumors hanno sottolineato come i giudici al lavoro sul caso LimeWire non siano proprio cresciuti a pane e file sharing.
Mauro Vecchio