La pratica di mining per il calcolo dei blocchi di criptomoneta (sia essa Bitcoin, Monero o altro) è un’attività sempre più interessante, un “business” potenzialmente capace di trasformare elettricità e potenza di calcolo in denaro sonante – ancorché “virtuale” – e per questo capace di attrarre categorie di utenti estremamente variegate. Che in alcuni casi finiscono persino in galera.
Il primo caso in oggetto è esemplificativo del potere di persuasione del mining, visto che riguarda gli ingegneri di un impianto russo deputato alla simulazione delle esplosioni atomiche . L’ impianto è dotato di un supercomputer , e a quanto pare gli ingegneri di cui sopra avrebbero provato a sfruttare il supersistema per attività di mining alle spalle delle autorità.
Il supercomputer è stato connesso a Internet , una pratica vietata che ha dunque fatto scattare immediatamente l’allarme portando all’arresto dei responsabili: il tentativo di mining è miseramente fallito sul nascere, e ora gli ingegneri col vizietto della criptomoneta dovranno affrontare le carceri russe.
Un altro caso di mining “alternativo” riguarda più tradizionalmente un nuovo script malevolo basato sul famigerato Coinhive , una minaccia che ha sfruttato il servizio BrowseAloud per iniettare il codice necessario al mining di Monero su migliaia di siti di primaria importanza.
Si parla in particolare di circa 4.300 siti Web compromessi, tutto accomunati dall’uso del suddetto servizio di accessibilità e molti riconducibili ai network governativi di Regno Unito, Stati Uniti e altri. L’utente che visitava uno dei siti infetti si trovava con la CPU “oberata” dallo script mina-Monero, anche se adesso la situazione dovrebbe essere tornata alla normalità.
Alfonso Maruccia