Twitter, da anni, agisce sui contenuti postati dagli utenti con un sistema di censura selettiva, per cui la collaborazione con le autorità dei diversi paesi del mondo è regolata dalle leggi locali, che stabiliscono cosa sia o meno lecito per i cittadini. La piattaforma però, si riserva il diritto di difendere un proprio margine di discrezionalità: lo farà in Turchia, dimostrando però al tempo stesso come questa discrezionalità, imbracciata altrove in maniera maldestra sull’onda di un clima di terrore dilagante, possa inasprire situazioni già più che tese.
La piattaforma di microblogging era stata sanzionata dall’autorità turca per le telecomunicazioni e l’IT (BTK) nel mese di dicembre: avrebbe mancato di rimuovere certi contenuti ritenuti di “propaganda terroristica”, capaci di scatenare “atti pubblici di odio e violenza”. Nonostante gli attriti che da tempo caratterizzano i rapporti tra Ankara e il servizio, culminati in inibizioni all’accesso e confronti in tribunale, Twitter ha scelto di cercare il muro contro muro: l’entità della multa è irrilevante per un’azienda come Twitter, il corrispettivo di circa 45mila euro, ma è ormai evidente che non verrà pagata .
Anzi: forse forte della recente condanna della Turchia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per il blocco imposto su YouTube, Twitter si è rivolta al tribunale di Ankara per chiedere l’annullamento della sanzione, ritenuta non irrogabile ai sensi della legge.
Non è chiaro nel dettaglio quali siano gli aspetti contestati da Twitter. È vero però che la piattaforma, nelle proprie policy volte a scongiurare i “comportamenti offensivi”, afferma di non tollerare “minacce di violenza” “incitazioni alla violenza o al terrorismo”. Certo, le regole di Twitter si allineano con quadri normativi che considerano illegale l’istigazione a delinquere e l’apologia di atti di violenza, ma nell’agire sulla propria piattaforma o nel difendersi nelle aule dei tribunali resta la discrezionalità di Twitter nel tracciare i confini di ciò che siano la “violenza”, il “terrorismo” o la “propaganda terroristica” che le autorità dei diversi stati possono riconoscere nei cinguettii degli utenti che vorrebbero rendere inaccessibili ai propri cittadini.
Nonostante l’ impegno all’equità e alla trasparenza, indispensabili in un contesto di collaborazione sempre più invocata dalle autorità di mezzo mondo , Twitter, da parte sua, non sembra dimostrarsi un arbitro troppo virtuoso: l’account di tale Iyad El-Baghdadi, attivista della Primavera Araba, è stato bloccato per il semplice motivo di essere stato confuso con Abu Bakr al-Baghdadi, sedicente Califfo dello Stato Islamico.
Of course this isn't the ISIS leader's account. Everyone knows the Caliph only uses Tinder and Snapchat. @SwiftOnSecurity
— Iyad El-Baghdadi (@iyad_elbaghdadi) December 30, 2015
Gaia Bottà