Twitter ha chiesto ai nuovi sviluppatori terzi di non occuparsi di client, ma di pensare ad altro dal momento che quello è un settore già saturo in cui l’azienda si sta impegnando e ciò implica lasciare poco spazio agli altri.
Con una email indirizzata agli sviluppatori, infatti, il tecnofringuello ha comunicato le nuove regole alzando un polverone: nella nuova strategia del servizio di microblogging, ai programmatori terzi è chiesto di non occuparsi di client ma di concentrarsi su attività come la raccolta dati e il miglioramento dell’esperienza garantita da Twitter stesso.
Prima conseguenza della nuova politica è stata la modifica delle condizioni d’uso delle API: un accento specifico è posto sulla privacy e non si parla più di “business” dei programmatori ma di “strumenti”. Viene inoltre richiesto agli sviluppatori terzi il rispetto di standard più alti, sia per quanto riguarda l’aderenza all’esperienza del social network, sia per la tutela della privacy degli utenti.
Tuttavia il nuovo corso voluto dalla dirigenza del social network è più sfumato di quanto si credeva in un primo momento: Ryan Sarver, uno dei membri dei team addetto alle API di Twitter, ha spiegato che il discorso con cui si indirizzavano gli sviluppatori lontano dai client era solo per i nuovi arrivati , che rischiano di sbarcare nell’ecosistema del tecnofringuello con app che non aggiungono nulla a quanto è già visto, contribuendo così solamente a confondere l’utente finale.
Si trattava, insomma, solo di un consiglio circa i settori ritenuti più remunerativi per gli sviluppatori terzi nel prossimo futuro.
Alcuni osservatori hanno per questo rilevato come si tratti di una normale richiesta da parte di Twitter e non l’inizio della fine della collaborazione con gli sviluppatori terzi.
Per il resto, rappresenta la volontà di Twitter di fare chiarezza tra le app che portano avanti il suo servizio : l’occasione è servita anche a specificare quali sono ritenute utili ai fini dell’ecosistema, come SocialFlow, Sulia, Klout, HootSuite e Foursquare. Analisi dei dati in tempo reale, CRM, esperienze verticali in grado di aggiungere qualcosa al servizio e strumenti editoriali sono i settori indicati come rilevanti e meritevoli di attenzione da parte di investitori e nuovi sviluppatori.
“Twitter – ha spiegato meglio Sarver – fornirà lo strumento principale per accedere ai contenuti Twitter e all’esperienza del servizio a mezzo mobile o computer. Tanti mezzi diversi tra loro significa d’altronde il rischio di rendere confusionaria l’esperienza garantita agli utenti. Inoltre, numerosi client hanno finora ripetutamente violato le condizioni d’uso di Twitter”.
D’altra parte, l’accenno ai futuri investimenti del tecnofringuello nel settore dei client, collegato al cambio dei ToS delle API, alla prima sensazione lanciata dalle dichiarazioni e alla richiesta di omologazione dell’esperienza di utilizzo del servizio (per esempio è chiesto alle app di terzi di non utilizzare termini come “mi piace” al posto di “favorito” e “commenta” al posto di “rispondi”), aggiungendosi al fatto che in queste app favorite non vi fossero importanti client come TweetDeck, TwitBird e quelle UberSocial, ha spinto gli osservatori a guardare Twitter con apprensione. Il tecnofringuello, insomma, sembra aver messo al bando tutte quelle app che si limitano a replicare quella che viene definisce genericamente “la funzione fondamentale” del suo servizio di microblogging.
L’apporto di terzi al suo ecosistema non è stato in questi primi anni di vita trascurabile: in particolare la proliferazione di client ha sicuramente contribuito alla diffusione del social network , colmando alcune lacune o ritardi, come dimostrano i dati che vedono il 75 per cento del suo traffico provenire da applicazioni di altre parti.
I client, per esempio, hanno presto offerto soluzioni integrate per lo URL shortening o per il caricamento di file multimediali incorporati (novità introdotte solo in un secondo momento con la nuova pagina di Twitter).
Questo apporto, d’altronde, sembrava essere riconosciuto dalla stessa azienda che aveva assunto un approccio collaborativo (con il continuo rilascio di API) nei confronti degli sviluppatori terzi. Un apprezzamento che non sembrava diminuire neanche con lo sviluppo di propri prodotti (client e servizi) per ovviare direttamente alle mancanze già individuate da altri. Tanto che il CEO Evan William aveva parlato di “ecosistema aperto”. È innegabile, d’altronde, che idee importanti come le menzioni @, i messaggi diretti e i re-Tweet non sono venute dalla dirigenza ma sono emerse dagli utenti e da questi sviluppatori.
Il CEO, peraltro, solo l’anno scorso si era rivolto direttamente a Twitterrific, primo sviluppatore di applicazione desktop, assicurandogli di non volerne costruire una propria. Mentre ora sembra per alcuni voler prendere le redini dell’intero impianto e guidarlo in prima persona (e in solitaria) verso la meta della remunerazione.
Twitter ha detto d’altronde che le persone sono confuse dalle app di parti terze, che offrono le stesse cose con un’esperienza anche solo visiva differente: per questo con le nuove policy imposte agli sviluppatori intenderebbe semplicemente far chiarezza. Tuttavia sembra evidente il bisogno di monetizzare il successo di pubblico e per farlo sembra pronto a far rientrare nel seminato client e app diverse da quelle ufficiali.
Per questo il cambio di rotta di Twitter non è piaciuto a molti osservatori , critici sia della scelta di bloccare alcuni sviluppatori, sia del recinto imposto a quelli mantenuti, sia delle motivazioni addotte: sono convinti che tutto questo possa portare all’inaridimento dell’ecosistema del tecnofringuello.
Claudio Tamburrino