La municipalità di Seattle ha votato all’unanimità una normativa con la quale permette agli autisti dei servizi di car sharing come Uber e Lyft di contrattare collettivamente le proprie condizioni di lavoro.
In questo modo Seattle riconosce di fatto lo status di lavoratori dipendenti agli autisti e gli affida – prima città negli Stati Uniti – un’arma per contrapporsi uniti contro il datore di lavoro. L’obiettivo, come spiega uno dei membri del consiglio cittadino, è “creare un ambiente dove l’innovazione continui ad esistere, ma non a discapito dei lavoratori”.
Già la California aveva condannato le due startup per la mancata regolarizzazione dei suoi autisti, a cui già in quell’occasione era stato riconosciuto lo status di dipendenti. Uber sosteneva di essere solo l’azienda dietro l’app che funge da intermediario tra gli utenti e gli autisti volontari, sorta di liberi professionisti indipendenti che offrono il proprio tempo e la propria vettura come un servizio, ma le autorità hanno accolto la tesi dell’accusa secondo la quale gli autisti lavorano come veri e propri dipendenti della startup ed in quanto tali meritano di essere inquadrati dal punto di vista legale.
Nonostante Uber abbia fatto ricorso contro la decisione californiana e stia cercando ora con un nuovo tipo di contratto di costringere i suoi dipendenti/lavoratori a ricorrere – in caso di controversie – ad un arbitrato piuttosto che ad un tribunale, la sentenza californiana ha dato il via ad una serie di prese di posizioni e proteste simili in altre parti del mondo, aggiungendosi agli altri diversi problemi della startup nel rapportarsi alle normative in materia di servizio taxi ed alle ostilità della concorrenza.
Claudio Tamburrino