Uber ha annunciato il divieto per i suoi dipendenti di utilizzare il discusso software chiamato Greyball. L’azienda in questo modo ha ammesso quanto era trapelato nei giorni scorsi , ovvero che avesse un programma chiamato Greyball che permetteva di sviare le indagini delle forze dell’ordine: agli agenti di polizia era fornita una versione alternativa dell’app vera e propria, ce gli impediva di individuare l’effettiva posizione delle berline Uber fornendogli invece vetture civetta e dati GPS falsati.
A far scoppiare il nuovo grattacapo per Uber nella sua sempre più travagliata relazione con le autorità locali, era stato già nel 2014 un ufficiale della Polizia di Portland, ma il programma di tecnocontrollo e depistaggio degli agenti delle forze dell’ordine locale sarebbe stato utilizzato costantemente negli ultimi tre anni dalla startup in tantissime città tra cui Boston, Parigi e Las Vegas, nonché in Australia, Cina e Corea del Sud. In pratica, i dati raccolti dall’app venivano incrociati per individuare la Polizia che camuffata da utenti andava a caccia delle sue auto, fornendo loro una versione civetta del servizio fatta di falsi avvisi di disponibilità e finte offerte di passaggi.
Pur ammettendo l’esistenza del programma, in realtà, Uber di fatto ha scaricato il barile sui proprio dipendenti: il programma Greyball, dice , effettivamente permette di non far mostrare la versione standard dell’app a determinati utenti, ma le sue possibilità di utilizzo sono multiple. Per esempio permette ai propri dipendenti di provare nuove opzioni, può essere impiegata per il marketing o per prevenire frodi, o proteggere anche i partner da possibili attacchi violenti.
Non parla mai , insomma, direttamente del suo utilizzo contro le forze dell’ordine, bensì di aver “avviato una formale revisione dei metodi in cui può essere ed è stata utilizzata”: per il momento ha in ogni caso “proibito qualsiasi utilizzo per contrastare il lavoro delle autorità locali”.
Claudio Tamburrino