Mentre in Italia la questione Uber arriva in Parlamento e le istituzioni europee vogliono fare chiarezza sulla sua regolamentazione in Germania, negli Stati Uniti – ed in particolare in California – le autorità competenti minacciano lo stop ed una multa salata per l’app del car sharing se non si adeguerà ad alcune richieste del regolatore rendendosi disponibile alla condivisione dei dati legati agli autisti ed alle corse offerte.
Negli Stati Uniti è la California Public Utilities Commission (CPUC) a muoversi contro la startup: ha previsto una multa da 7,3 milioni di dollari da pagare entro 30 giorni e l’obbligo di condivisione dei dati relativi alle corse offerte ed alle informazioni relative ai propri autisti.
Il tutto è legato alla mancata ottemperanza da parte di Uber della richiesta delle autorità di accesso ai dati relativi alle corse offerte: secondo la regolamentazione CPUC i servizi pubblici di traporto devono fornire una serie di informazioni, tra cui il numero di richieste di passaggio ricevute per ogni veicolo disponibile, la causa degli incidenti che hanno coinvolto eventualmente i propri autisti, il numero di operazioni suddiviso in ogni zona, il numero di richieste ricevute ma a cui non è stato dato seguito, il costo medio dei viaggi, la percentuale di volte in cui il servizio riesce a rispondere alle esigenze dei suoi passeggeri ed altri dettagli relativi ai suoi autisti.
Tali obblighi sono stati recentemente estesi anche ai nuovi tipi di servizi tra cui appunto Uber, Lyft e Sidecar.
Secondo l’autorità a stelle e strisce solo Uber, o meglio la sua sussidiaria Raiser-CA che gestisce tali dati per la startup, avrebbe mancato di ottemperare: da parte sua la startup riferisce che inizialmente la sua app non raccoglieva affatto tutti questi dati ma comunque aveva offerto tutte le informazioni a sua disposizione , limitandosi ai dati anonimizzati, in modo tale da non violare la privacy degli autisti e dei passeggeri.
Ciò per la CPUC non è sufficiente, per cui ha multato Uber per più di 7 milioni di dollari e minaccia – se non cederà alle richieste entro 30 giorni – di revocarle la licenza.
Non si tratta degli unici problemi per Uber, che ormai conosce a menadito tutti i possibili ingorghi amministrativi e legali sulla sua strada: in Europa è ora la Commissione Europea ad interessarsi della sua situazione, in particolare partendo dalle restrizioni attualmente previste nei suoi confronti dalla Germania, dove è stata per esempio bloccata a Berlino ed Amburgo e dove vigono una serie di limitazioni ai suoi servizi, equiparati ad un servizio taxi, di cui necessita anche della relativa licenza. Le istituzioni europee potrebbero assumere una posizione più favorevole all’app, dopo aver verificato che le limitazioni tedesche non violino la normativa UE.
In Italia, intanto, dopo la conferma da parte del Tribunale di Milano del blocco in tutto il paese dell’app Uberpop e dell’obbligo di rientrare in garage tra una chiamata e l’altra per gli autisti UberBlack, la questione è arrivata in Parlamento: la startup sembra aver trovato orecchie pronte per ascoltarla nell’Autorità dei Trasporti presieduta da Andrea Camanzi. Ribadendo una posizione già espressa in precedenza, nella sua relazione al Senato ha riferito della necessità di una riforma a livello normativo del settore del trasporto di persone nei servizi non di linea .
Soddisfazione, naturalmente, hanno espresso i vertici italiani della startup: “Ancora una volta – ha dichiarato Benedetta Arese Lucini, general manager di Uber Italia – l’Autorità dei Trasporti invita il legislatore a riformare una legge, quella del 1992, che oggi regola il settore della mobilità, e che è ormai inattuale. Non possiamo che fare nostro questo appello, non solo nell’interesse di Uber, ma anche per quello dei consumatori che hanno diritto a scegliere il servizio più consono alle loro esigenze”.
Claudio Tamburrino